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Billie Holiday

Billie Holiday e quella strana parlata toscana

Vi è mai capitato di leggere un libro tradotto in italiano e di indovinare dopo poche righe le origini regionali del traduttore? Quello dell’invisibilità del traduttore è un tema molto dibattuto nel nostro settore e oggi, per la rubrica #traduzioneacolazione, vogliamo offrirvi qualche spunto di riflessione al riguardo.

Il libro che vedete nella foto, “La signora canta i blues”, è l’autobiografia dell’immensa Billie Holiday (parentesi brevissima: se non avete mai ascoltato niente di suo fatelo. Adesso. Subito. Anzi, prima leggete il post fino in fondo 😜.) La traduzione risale al 1979 e tradisce, fin dalla primissima riga, le origini toscane del traduttore. Non possiamo dare per certo che Mario Cantoni sia un conterraneo dell’Alighieri perché non siamo riusciti a reperire informazioni su di lui, ma siamo convinti che vi troverete d’accordo con la nostra teoria, una volta che avrete letto alcuni vocaboli ed espressioni che caratterizzano la sua scrittura (e che potete leggere inseriti nel loro contesto scorrendo le foto del post su Instagram): “babbo”; “sicché”; “si era così stanche”; “veh”; “tutte e due se n’aveva abbastanza di Baltimora”; “però non gli garbava”; “andarmene a giro”; “si fa a mezzo”; “successe un canaio”; “s’era a lavorare in Canada, quando leticai con Sharp”. Capite? Billie Holiday, afroamericana nata a Baltimora – nel Maryland – nella sua autobiografia parla come se fosse cresciuta lungo le rive dell’Arno. Piuttosto strano, no? Perché una scelta di questo tipo? Forse l’uso di regionalismi avrebbe dovuto aiutare a rendere la parlata schietta della cantante, che di sicuro non brillava per diplomazia? E allora perché lasciare “damn it” in inglese invece di tradurlo – in linea con il resto – con un’equivalente imprecazione toscana? Lungi da noi dare giudizi sulla bontà della traduzione del Cantoni, che pur nella sua particolarità funziona. Se sia bella o no lo lasciamo decidere a chiunque voglia cimentarsi nella lettura del libro. È pur vero, però, che essa “richiama l’attenzione su di sé” e pertanto fallisce nell’intento di rendere il testo “così trasparente da non sembrare tradotto”.