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Dizionario minimo di diversità

“Uno degli scopi di questo libro è di suscitare, spero, una riflessione sulla necessità di riformulare il concetto di inclusione in favore dell’idea più paritaria di convivenza, anche attraverso l’invito a promuovere l’autorappresentanza di quelle realtà e persone che ancora oggi, per vari motivi, non hanno visibilità.” Così Fabrizio Acanfora descrive il suo saggio: In altre parole – Dizionario minimo di diversità. Nella nostra rubrica abbiamo già ospitato altri vocabolari particolari, quindi non potevamo lasciarci sfuggire questa chicca.

Nella quarta di copertina questo libro viene definito come un “dizionario emotivo” che non vuole spiegare il significato letterale delle parole, quanto piuttosto mostrare le conseguenze che il linguaggio può avere sulla visione della diversità.

La lettura di ogni capitolo diventa così un’esplorazione dei termini che gravitano intorno a tutte le diversità: culturali, religiose, di genere e funzionali. Ogni parola diventa un’occasione per riflettere e aprire lo sguardo a nuove prospettive. Ci troviamo a ragionare su termini come normalità e diversità, ma anche esclusione e inclusione. Capiamo così che il concetto di normalità è relativamente recente e frutto di canoni artificiali che si riferiscono a un’umanità ideale. È la diversità, invece, a descrivere la variabilità delle persone e la naturale condizione umana e non dovrebbe essere espressa come il contrario della normalità, ma come un concetto autonomo da non suddividere in tante etichette. Secondo questa prospettiva, è la normalità a diventare una sottocategoria della più vasta diversità.

Al concetto di diversità si lega quello problematico di inclusione che, secondo l’autore, è un processo che presuppone uno squilibrio di potere perché parte dalla normalità che assimila una diversità a cui viene concesso di entrare a far parte della maggioranza sana, normale e non percepita come strana o difettosa. Per questo Acanfora propone di parlare, invece, di convivenza delle differenze che consente di riconoscere e valorizzare le caratteristiche uniche di ogni persona. A questo punto del discorso ci serve un altro vocabolo: intersezionalità. Questo termine, usato per la prima volta da Kimberlé Crenshaw, indica l’“idea che più differenze possano intersecarsi in un’unica persona”. In sostanza, se la diversità, intesa come varietà, è da intendersi come la normale condizione umana, l’intersezionalità diventa uno strumento imprescindibile per comprenderla.

Per cambiare punto di vista e prospettiva, diventa fondamentale riconoscere i propri bias, termine oggi a tratti abusato, ma che vale la pena approfondire per evitare che diventi una giustificazione per comportamenti discriminatori. Un altro concetto molto diffuso nel dibattito sull’inclusione è quello degli stereotipi e anche in questo caso il dizionario fornisce spunti di riflessione utili per imparare a riconoscerli e a decostruirli e per dare vita a narrazioni differenti. E qui veniamo a un altro termine chiave: autorappresentanza. L’autore porta l’esempio della neuroatipicità, la cui narrazione viene spesso affidata a persone neurotipiche che la descrivono attraverso la lente della “normalità”, assimilando le diversità al deficit. L’autorappresentanza, ovvero il racconto in prima persona della diversità, consente da un lato l’autodeterminazione del gruppo marginalizzato, ma anche l’opportunità per chi non fa parte della comunità di rendersi conto che “quelle persone non vedono sé stesse necessariamente come sbagliate o difettose, ma che il loro essere differenti può diventare un problema quando si scontrano con una società che non prende in considerazione o non vuole vedere le loro caratteristiche”.

Abbiamo raccolto i termini che riteniamo fondamentali per iniziare un percorso alla scoperta di questo dizionario, ma se avrete voglia di sfogliarlo potrete trovare molte altre parole e altrettante riflessioni utili per avvicinarsi alla diversità.

Prima di salutarvi, vi lasciamo con un suggerimento. Abbiamo accennato a narrazioni differenti, o divergenti, e neuroatipicità. A questo riguardo vi consigliamo anche un altro termine da inserire nel vocabolario: neurodivergenza. Per accostarvi a questa parola vi invitiamo a seguire il lavoro di divulgazione della psicolinguista Eleonora Marocchini (profilo IG: @narraction) che ha in partenza un ciclo di incontri proprio su queste tematiche.

 

Ringraziamo Ilenia Gradinello, che ha scritto per noi questo articolo.