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Gli “affetti collaterali” nel lavoro dei traduttori

Quando ho iniziato a lavorare come dialoghista, non immaginavo che mi si sarebbero spalancati mondi così diversi tra loro, né tantomeno credevo che avrei avuto modo di conoscere i luoghi e le persone più disparate attraverso i prodotti audiovisivi che mi sarebbero passati tra le mani.

Si dice che quella del traduttore sia una professione svolta in solitudine tra quattro mura, quasi bidimensionale, per certi versi, ma spesso e volentieri si anima e dà vita a veri e propri incontri.

Nel 2009 ho adattato una serie tedesca, “Die Ludolfs – 4 Brüder auf’m Schrottplatz“, trasmessa in Italia su Dmax con il titolo “I Ludolf – Fratelli Sfasciacarrozze”, i cui protagonisti erano quattro fratelli sgangherati, sfasciacarrozze di mestiere e per passione. La simpatia dei dialoghi e delle situazioni mi ha conquistata fin dal primo episodio e, arrivata all’ultimo, sapevo che Günter, Manni, Peter e Uwe mi sarebbero mancati non poco.

Così, a dicembre dello stesso anno, mentre mi trovavo ad Heidelberg per un weekend lungo, ho guardato la cartina e ho puntato il dito su Dernbach, perché era troppo vicino per non passare a trovare i Ludolf.

Arrivata davanti all’inconfondibile edificio verde, ho suonato il campanello, tanto emozionata quanto curiosa. Ad accogliermi c’era Manni, il più stravagante dei quattro.

“Buonasera, sono l’adattatrice italiana della serie su di voi.” Ho fatto appena in tempo a finire la frase, che mi sono ritrovata all’interno del magazzino, tra i cumuli di pezzi di ricambio, ammassati in un caos ordinato, da cui Peter riusciva a tirare fuori i ricambi come un prestigiatore estrae disinvolto il coniglio dal proprio cilindro. Solo che il suo cilindro era una montagna informe di rottami di ogni tipo. Era tutto esattamente come lo avevo visto sul mio schermo.

In quest’ottica, di solitario e bidimensionale c’è ben poco, nel nostro lavoro. Tradurre è anche conoscere, traghettare e incontrare nuove realtà. Certo, non è sempre così, ma quando succede è una festa, perché ti rendi conto che quello che fai ti piace sul serio, non tanto per dire. E questa è una fortuna per cui non smettere mai di ringraziare.

Lunga vita agli affetti collaterali del nostro mestiere!

 

Silvia Giustiniani (dialoghista e socia WiP)