fbpx

Julio Cortázar, scrittore, traduttore e… cronopio

Il post cronopiesco di oggi saltellerà distrattamente e senza meta tra le nostre due rubriche: #equiLibrismi e #traduzioneacolazione. Sì, perché Chi scrive i nostri libri non è incasellabile, così come non lo è Julio Cortázar, autore delle lettere editoriali della raccolta.

Francesco Piccolo apre la prefazione scrivendo: “Se si ama uno scrittore, […] si diventa degli stalker letterari. […] Se si ama uno scrittore, si leggono le sue lettere.” È vero, quando uno scrittore ti conquista, vuoi conoscere chi sta dietro le parole che ti hanno fatto sognare, riflettere o sorridere. Ma è possibile anche il processo inverso. Sfogliando un epistolario, sorseggiandone le lettere, si viene a contatto con i retroscena editoriali, l’esegesi di un romanzo, le riflessioni intime dell’autore e si impara a conoscerlo. Se poi ogni lettera è condita con arguzia, passione, ironia e tanta umanità, la curiosità non può che spingerti a leggere anche i racconti e i romanzi citati. Un effetto collaterale gioioso.

La raccolta è suddivisa in due blocchi cronologici, il primo è dedicato all’aspirante scrittore che con ostinazione voleva esprimersi attraverso la parola scritta. Proprio lui che per mantenersi faceva il traduttore per l’Unesco, incarico che gli garantiva la sopravvivenza, ma gli stava stretto. Non smise mai di lavorare come traduttore, neanche quando raggiunse lo status di scrittore, perché, come lui stesso ammetteva “la necessità di percepire dei diritti d’autore non mi obbligasse mai ad accelerare un libro.”

Nel secondo blocco assistiamo alla consacrazione, Julio diventa Julio Cortázar e il suo talento viene riconosciuto e stimato. Le sue parole iniziano a circolare per il mondo grazie alle traduzioni. All’interno del secondo blocco scopriamo anche un Julio Cortázar traduttore letterario. Aveva infatti tradotto in spagnolo tutte le opere in prosa di Edgar Allan Poe. Le sue traduzioni sono considerate ancora oggi la versione più autorevole delle opere di Poe in castigliano. Non stupisce quindi la sua attenzione maniacale alla correzione delle bozze dei suoi romanzi e di quelle degli altri, come Paradiso di Lezama Lima, di cui si incaricò della revisione per la seconda edizione.

Intratteneva un fitto carteggio con i traduttori verso le lingue che conosceva, aiutandoli con molta generosità a sciogliere i dubbi principali. Apprezzava particolarmente il lavoro di Gregory Rabassa, traduttore americano, a cui scriveva: “Con te io mi muovo in un terreno fraterno e immediato, so che mi capisci in modo ammirevole e che “filtro” in inglese senza sforzi, come se avessi scritto direttamente in quella lingua e non nel mio creolo rioplatense; puoi immaginare, quindi la gioia che mi dai.”

Molto interessanti sono le riflessioni sulla lingua. Pur avendo deciso di vivere a Parigi, lo scrittore rivendicava il suo essere e scrivere argentino, pur temendo però che il francese, considerato la lingua diurna, finisse per incidere sullo spagnolo, il suo idioma notturno. Molti sono i riferimenti ai sogni legati alla scrittura, ai romanzi o ai personaggi nati da un’impressione o da un’epifania. Affascinante è scoprire come l’idea di scrivere i “Re” sia giunta su un autobus, come una visitation. Cortázar racconta che la stessa notte iniziò a scrivere, o meglio, si guardò scrivere, come se qualcun altro guidasse la sua mano e terminò la prima stesura il giorno dopo. In altre lettere racconta di “essere abitato” da un libro, come una sorta di possessione che non lo abbandonerà finché non avrà preso forma sulla carta.

Non mancano i riferimenti ai rapporti con il mondo dell’editoria, in parte mediati sapientemente dall’amico fidato e agente letterario Francisco (Paco) Porrúa, ma non sempre idilliaci. Cortázar riferisce in più occasioni del “triste problema di aggiustare il corpo in base al vestito invece che il vestito in base al corpo”, riferendosi alle richieste degli editori di “recuperare una riga”. Lo scrittore litigava con i tipografi perché inserissero degli spazi bianchi tra testo e testo, voleva che ci fosse una “luce” di almeno tre centimetri tra un capitolo e l’altro dei suoi libri perché non avessero un senso di “appiccicaticcio”. Dava inoltre suggerimenti sulle copertine e sulle illustrazioni, ma soprattutto sul dorso dei libri che riteneva la parte più importante perché l’unica che si vede quando li si ripone in libreria. Preferiva le scritte orizzontali a quelle verticali e detestava vedere il suo nome ridotto alle iniziali J.C. per motivi di spazio. Ecco uno dei tanti disegni e schizzi presenti nelle lettere:

Il fil rouge che tiene insieme tutte le lettere è però l’affetto per i cronopios, entità che presero vita nel teatro degli Champs Elyséees, una sera in cui Stravinskji dirigeva La sagra della primavera e Edipo re e che accompagnarono il nostro autore per tutta la carriera. Anche quando passò alla forma di espressione matura del romanzo non smise mai di prendersi cura delle sue creature, arrivando a interrompere i rapporti con una casa editrice francese che non li avrebbe capiti e non li avrebbe saputi trasmettere al pubblico nel modo corretto. I cronopios dovevano arrivare ai lettori senza filtri, lasciando che sprigionassero la loro magia inconsapevole.

Definire i cronopios è impresa ardua, quindi lo lasciamo fare alle parole di Italo Calvino, cronopio italiano che curò i rapporti tra il nostro autore e la casa editrice Einaudi, oltre che con Antonioni interessato a una trasposizione cinematografica delle sue parole.

Nella prefazione di Storie di cronopios e di famas, Calvino descrive Cortázar come portatore di due anime, “l’una butta fuori immagini a getto continuo mosse dal vortice dell’arbitrio e dell’improbabilità, l’altra innalza costruzioni geometriche ossessive che si reggono in equilibrio su di un filo”. Secondo Calvino, cronopios, famas ed esperanzas sono la “creazione più felice e assoluta di Cortázar”. Si tratta di categorie primordiali, che però non si possono ridurre alle definizioni di intuizione, poesia e capovolgimento delle norme per i cronopios, ordine, razionalità ed efficienza per i famas e alla disarmante stupidità per le esperanzas. Per capirli davvero occorre immergersi nella ricchezza psicologica del loro mondo e dei loro comportamenti. I famas ad esempio “imbalsamano ed etichettano i ricordi”, mentre i cronopios li “spargono per casa, allegri e contenti e ci vivono in mezzo e quando un ricordo passa di corsa gli fanno una carezza…” La nostra narrazione termina qui. Per leggere il seguito, dovrete avventurarvi nel mondo dei cronopios. Buon viaggio.

 

Ringraziamo Ilenia Gradinello, che ha scritto per noi questo articolo.