fbpx

La madre di Kuzma

Immaginate di essere un americano in piena Guerra Fredda e di sentire Nikita Chruščëv minacciare di farvi vedere “la madre di Kuzma”. Di certo non dormireste sonni tranquilli, e ne avreste tutte le ragioni. Passereste il tempo a chiedervi: “Ma chi diamine è, Kuzma? E soprattutto, che razza di madre avrà mai?”. Incredibilmente, a tranquillizzarvi ci penserebbe lo stesso Chruščëv. Amante delle espressioni idiomatiche e dell’improvvisazione, l’allora primo ministro sovietico dava non poco filo da torcere ai collaboratori che dovevano tradurre i suoi discorsi. Ecco perché la madre di Kuzma popolò gli incubi degli americani per molto tempo: si trattava di un modo di dire che, durante un primo incontro con Nixon, era stato tradotto letteralmente. Quando, in occasione di un secondo incontro, Chruščëv si era reso conto che il suo messaggio continuava a non passare, si era rivolto all’interprete dicendogli: “Non ha funzionato un’altra volta con la mamma di Kuzma? Senta, glielo spieghi, è semplice. L’espressione vuol dire qualcosa che non hanno mai visto prima”.

Questo che vi abbiamo appena raccontato è solo uno dei tanti aneddoti che troverete nel libro I funamboli della parola – Le traduzioni che hanno cambiato la storia, scritto dalla traduttrice e interprete giudiziaria Anna Aslanyan e tradotto dall’inglese, a nostro parere molto bene, da Enrico Griseri. Nella seconda di copertina si legge: “I rapporti diplomatici raramente funzionano senza un esercito invisibile di traduttori e interpreti. Pur trascurati, alcuni di essi sono riusciti ad alterare, nel bene e nel male, gli eventi della storia.” Quante volte sarà successo, che un discorso potenzialmente pericoloso sia stato “mediato” per evitare ulteriori tensioni tra due parti già sul piede di guerra? E quante volte, invece, una traduzione non del tutto corrispondente all’originale ha scatenato reazioni estreme, assai lontane da quelle che l’interlocutore voleva suscitare?

Lo sappiamo, quello dell’interprete è un lavoro molto delicato, che si basa sul “qui e ora”. Richiede grande concentrazione, una mente reattiva e una notevole capacità di capire con chi si ha a che fare, sia che si tratti della persona che si sta interpretando, sia che si tratti del destinatario del discorso: nel primo caso, per comprendere quali sono le intenzioni, nel secondo, per valutare come e se trasmettere del tutto il messaggio. Se c’è qualcuno che ha affinato questa tecnica, è sicuramente Ivan Melkumjan, diventato interprete di Silvio Berlusconi nella combinazione italiano > russo dopo essere riuscito a tradurre, “cambiando alcuni particolari e concentrandosi sul finale”, due barzellette dell’ex primo ministro scatenando l’ilarità dei commensali e guadagnandosi così l’ammirazione del committente. Nel capitolo intitolato (non a caso) Effetti comici, Aslanyan riporta le parole di Melkumjan: “Quando era fra amici, cioè in compagnia di persone che chiaramente lo trovavano simpatico, traducevo le sue esternazioni senza filtri, ma negli eventi protocollari in genere le attenuavo un po’”.

Dal modo di parlare di Eisenhower e Roosevelt, alle premure di Stalin e alle imprecisioni di Hitler, passando per l’inevitabile processo di Norimberga, I funamboli della parola ci offre uno spaccato molto interessante di due mestieri che ancora oggi vengono confusi troppo spesso e non godono del riconoscimento che meriterebbero, considerato l’equilibrismo che richiedono.