Ancora una volta, ad affiancare la nostra consueta colazione bimestrale del lunedì c’è un volume di DieciXUno, una collana a nostro parere molto piacevole anche per chi, come chi sta scrivendo in questo momento, non ama la poesia ma trae particolare soddisfazione nel confrontare dieci traduzioni diverse degli stessi versi: quanti approcci possono esistere a un solo componimento! È un po’ il discorso che facevamo qualche giorno fa sulla nostra pagina Instagram, quando parlavamo di traduzione audiovisiva e dicevamo che è bello vedere una battuta declinata in tanti modi diversi a seconda della persona che la traduce e la adatta.
Il curatore di questo volume è Massimo Bacigalupo, docente di Letteratura Americana presso la facoltà di Lingue dell’Università di Genova, nonché traduttore della poetessa americana Louise Glück, premio Nobel per la Letteratura 2020, ma in Italia sconosciuta ai più. Il testo che vi proponiamo oggi, però, non è incentrato su una poesia di Glück, ma su un componimento della ben più nota Emily Dickinson.
Vissuta tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta dell’Ottocento, Emily Dickinson, la cui valenza artistica è stata compresa soltanto dopo la sua morte, era un’anima riservata, al punto da scegliere, a soli 25 anni, di isolarsi nella casa paterna. Dickinson è considerata ancora oggi la più grande poetessa americana. Acuta osservatrice della Natura intesa come l’insieme degli esseri viventi, animali e vegetali, sapeva cogliere anche gli aspetti più intrinsechi di quella umana, attraverso un lavoro di introspezione facilitato sicuramente dal fatto di non avere contatti con l’esterno.
La poesia presa in esame da Bacigalupo in questo volume di DieciXUno è My life stood – a loaded gun, che in italiano diventa, secondo la traduzione del curatore, La mia vita se ne stava – un fucile carico.
Ve la riportiamo qui, in modo che possiate leggerla e seguirci meglio in ciò che diremo tra poco:
My Life had stood – a Loaded Gun –
In Corners – till a Day
The Owner passed – identified –
And carried Me away –
And now We roam in Sovreign Woods –
And now We hunt the Doe –
And every time I speak for Him
The Mountains straight reply –
And do I smile, such cordial light
Opon the Valley glow –
It is as a Vesuvian face
Had let it’s pleasure through –
And when at Night – Our good Day done –
I guard My Master’s Head –
’Tis better than the Eider Duck’s
Deep Pillow – to have shared –
To foe of His – I’m deadly foe –
None stir the second time –
On whom I lay a Yellow Eye –
Or an emphatic Thumb –
Though I than He – may longer live
He longer must – than I –
For I have but the power to kill,
Without – the power to die
In linea generale questo componimento viene interpretato come una metafora della vita di Dickinson, personificata da un fucile rimasto in un angolo per tanto tempo finché non viene riconosciuto dal proprietario, che lo prende. Facendo ricerca per scrivere questo articolo, però, abbiamo trovato un’accurata analisi in lingua inglese che offre una chiave di lettura molto interessante, secondo cui la poesia racchiuderebbe un altro messaggio: nei primi quattro versi, il fucile carico sarebbe la donna che, pur nella propria forza, finisce per diventare uno strumento nelle mani dell’uomo e non può fare altro che attendere l’arrivo di una persona che la sposi portandola via con sé. Fa riflettere anche l’interpretazione dell’ultima quartina, che abbiamo evidenziato in grassetto e di cui abbiamo sottolineato i versi conclusivi: il fucile rappresenterebbe la donna, le sue parole e la loro enorme valenza. Le parole hanno infatti “the power to kill”, il “potere di uccidere”, “without the power to die”, “senza il potere di morire”, e sopravvivono agli uomini diventando immortali.
Secondo la visione di Bacigalupo, invece, tra le righe “il desiderio […] è espresso più chiaro che non si può”. Quale desiderio? Quello “di non essere abbandonati dalla forza che ci anima.” Eppure, nonostante questa chiarezza, la quartina in questione è stata quella “che ha dato più filo da torcere a lettori e commentatori, ed esistono persino commenti di tipo didattico che la giudicano non tanto paradossale quanto incomprensibile”. Non è un caso se il paragrafo dedicato ai versi finali della poesia è stato intitolato “L’indovinello della chiusa”. Enigma o no, leggendo le dieci traduzioni che come sempre chiudono i libri della collana, si può vedere come si somiglino praticamente tutte perché, come ammette lo stesso curatore del volume, “le traduzioni qui antologizzate sembrano tutte aver colto il senso”. Prendiamo come esempio proprio quella di Bacigalupo, che nel complesso incontra di più i nostri gusti:
Though I than He – may longer live
He longer must – than I –
For I have but the power to kill,
Without – the power to die
Per quanto io più a lungo di lui – possa sopravvivere –
egli deve vivere più a lungo – di me –
poiché ho solo il potere di uccidere ,
senza – il potere di morire
Scorrendo le dieci traduzioni proposte nel volume, scoprirete che nessuna ha rispettato le rime originali. A questo proposito Bacigalupo ci dice che lo stesso è successo in Francia, mentre in Germania “è stato creato un sistema di rime imperfette assai simile al testo di partenza”, così come in Russia.
Per darvi un’altra anticipazione senza però togliervi il gusto della lettura, ci ha incuriosito molto sapere che “caratteristica della scrittura di D. più facile da riprodurre in traduzione è il suo uso di una terminologia precisa nei suoi riferimenti naturalisti e geografici”. Lo scopriamo nel paragrafo intitolato Storia e geografia. Le risorse del dizionario. Dickinson amava piante e giardini, e approfondendo questo suo lato abbiamo scoperto l’esistenza di un libro che sembra un gioiellino e che quindi vi suggeriamo: Emily Dickinson e i suoi giardini – Le piante e i luoghi che hanno ispirato l’iconica poetessa. Cliccate sul link per sbirciare alcune pagine in anteprima e lasciatevi riempire gli occhi di bellezza. Se poi volete perdervi davvero, sappiate che esiste un sito, emilydickinson.it, curato dal traduttore Giuseppe Ierolli, in cui, nella sezione “Poesie” trovate addirittura tutte le piante e gli animali citati nelle componimenti della nostra protagonista, con le relative traduzioni. Il lavoro che Ierolli ha fatto con la produzione scritta di Dickinson è mastodontico. Navigate un po’ il sito e capirete il perché. Divagazione finita, torniamo a quello che stavamo dicendo: cercando “Emily Dickinson” e “terminologia” su Google, si scopre che la Treccani, alla voce dedicata alla poetessa americana, riporta queste parole: “il vocabolario, ricchissimo, allinea accanto a termini di ricercata evocatività parole attinte a piene mani nei settori più varî (dalla terminologia giuridica a quella scientifica, dalla culinaria alla teologia).” Quanto basta per voler leggere una poesia dickinsoniana dopo l’altra alla ricerca di questa ricchezza lessicale. Molto bella l’immagine descritta da Bacigalupo, che vede la poetessa scegliere “con intuito infallibile la parola esatta e inaspettata” facendola “scattare, come appunto il grilletto del fucile.”
Per un’analisi più dettagliata delle scelte traduttive vi invitiamo ovviamente a leggere il volume: infatti, se le riportassimo noi, sveleremmo gran parte del contenuto, dal momento che i DieciXUno sono libri che si esauriscono in un brevissimo lasso di tempo. È proprio in questa brevità che, secondo noi, risiede la forza della collana pubblicata da Mucchi Editore: un solo componimento, poche decine di pagine di analisi e dieci traduzioni al fondo. Se l’intento è avvicinare alla poesia anche le persone meno inclini a interessarsene, la formula funziona.