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La traduzione brevettuale e il linguista segugio

Oggi per la rubrica #traduzioneacolazione di @wip_traduzioni gioco in casa e vi parlo di un settore in cui bazzico da una quindicina di anni: la traduzione brevettuale.

Dell’articolo “Brevetto, brevettese e un po’ di filosofia” dell’Ing. Mario Gallo (gallopatent.it) mi ha colpito la frase: “sembra quasi che all’interno del linguaggio brevettuale si celi una specie di intima corrispondenza con la struttura materiale dei fatti”. Con “linguaggio brevettuale” si intende una combinazione di linguaggio tecnico-scientifico e legale che riproduce in modo maniacale la realtà. La traduzione brevettuale persegue la stessa precisione a costo di essere estremamente letterale, uniforme e ridondante. Il traduttore in questo campo si deve annullare dal punto di vista stilistico e interpretativo. Ora il linguista amante della scrittura obietterà: “ma chi te lo fa fare?” Bella domanda: ciò che mi affascina di questa traduzione è la sfida linguistica. I brevetti non hanno scopo divulgativo, sono scritti da professionisti per professionisti e molti termini sconosciuti ai profani vengono dati per assodati. Un linguista deve quindi trasformarsi in un segugio per trovare il traducente corretto, posto che esista già, riconoscere le fonti valide e, con l’esperienza, costruirsi un glossario di tutto rispetto. Poi vuoi mettere interrogare il chirurgo sugli strumenti che sta usando per operarti?! (Ogni occasione è buona per scroccare una consulenza).

Nella foto ho raccolto alcuni “mai più senza” per un traduttore di brevetti: un CAT, no, non quello puccioso, ma un sistema di traduzione assistita che dovrebbe ottimizzare tempi e risultati; Google scholar (c’è vita oltre Wikipedia) e per chi, come me, va fiero della propria gavetta analogica, i cari vecchi dizionari specialistici che sono un valido appiglio quando ci si perde nel mare magnum del web. Infine litri di caffè e un po’ di zuccheri per inseguire le scadenze.

 

Grazie a Ilenia Gradinello, che ha scritto per noi questo articolo.