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Lingua madre

«Sono pagine di rara potenza, un pugno allo stomaco a chi legge e insieme dimostrazione sul campo di quel potere della parola che è il tema profondo del testo».

Premio Italo Calvino

 

“Paolo Prescher odia le «parole sporche», quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Per questo odia la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria. Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile. Si consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere e, attraverso uno stile fulmineo e raffinato, rivela il senso più profondo del linguaggio.”

Sono due i protagonisti di questo romanzo, che si legge tutto d’un fiato: il primo è Paolo Prescher (anagramma di “parole sporche”), che ci accompagna nel proprio mondo interiore in un viaggio che si snoda tra Bolzano e Berlino, per poi concludersi dove era iniziato, nella città natale. Qui Paolo ci presenta l’unica persona verso cui nutre affetto, il padre, che però non parla. Un padre che ha un’abitudine a dir poco particolare, quella di attaccare etichette ovunque: “Casa nostra è piena di oggetti con le etichette dei nomi attaccate sopra. È la sua personalissima pestilenza del linguaggio.”

Comunicare con il padre, però, è difficile, pressoché impossibile: “Forse non parlo abbastanza pulito, per questo papà non mi risponde.” Di qui il tentativo, disperato, di ripulire il linguaggio: il filo conduttore di tutto il libro.

La seconda protagonista, seconda non certo per importanza, è la parola, su cui Paolo Prescher riversa un’attenzione smodata e lacerante perché “le parole hanno un potere metamorfico sulle cose. […] Sono le parole a cambiare ogni cosa.”

Non essendo riuscito a mantenere la promessa fatta al padre di “trovare parole pulite”, a 18 anni Paolo decide che non parlerà mai più italiano, ma solo tedesco e che si trasferirà a Berlino. Quando descrive i propri processi mentali, a chi ha imparato una lingua diversa dalla propria viene spontaneo identificarsi con lui: “Spesso in testa dico una cosa in italiano, e in tedesco o me ne viene in mente un’altra simile o a volte completamente diversa: è come se ci fossero due persone, una italiana che parla dentro e una tedesca che parla fuori. […] Quando parlo tedesco sono più tranquillo e anche la mia voce è diversa, è come se fosse quella di un’altra persona.”

Anche lo stupore verso i significati che ci aprono le parole apprese risulta familiare: “Fremdschämen è una parola che non c’è in italiano, ma con cui riesco a capire tanto di quello che provo per mia madre: significa vergognarsi per qualcun altro. E poi c’è anche la Schadenfreude, che mi fa pensare a mia sorella, che è felice quando agli altri succedono cose brutte. In italiano si traduce con stronza. La mia parola preferita, al momento ancora pulita, è Sollbruchstelle. Indica un punto di rottura prestabilito che può essere quello delle tavolette di cioccolata e per me significa confine.”

A Berlino Paolo incontra Mira, una ragazza “di una bellezza così complessa, così linguistica” che gli pulisce le parole. “Le parole pulite sono così: dici una cosa e intendi quella cosa, sono vere e limpide, non ci sono associazioni mentali che le rovinano, che le macchiano o che le sporcano.”

A proposito di associazioni, eccone alcune, così come le snocciola Paolo Prescher: “Giogo è una parola che mi stringe la gola e fa un po’ male. […] L’espressione vestirsi a cipolla fa lacrimare gli occhi. […] Fòrmica è una parola che mi fa indolenzire le braccia. […] Schiumaiola è una parola che fa la schiuma e a me piace tantissimo, anche se non è pulitissima perché mi fa pensare alle cene a casa nostra, mi ricorda l’acqua e il sapone e allora un po’ si pulisce. […] Alcune parole tolgono la fame perché riempiono lo stomaco. […] Globo, per esempio, è un pasto completo, aiuola è un capriccio come lo zucchero filato e riempie la bocca, e poi ci sono le parole liquide che ti rinfrescano e ti dissetano, come glicine, e quelle che sono come le merende o uno spuntino, e tra queste c’è intonaco che ti impasta la bocca ma è bello come lo fa”.

Chi traduce e ha a che fare abitualmente con una lingua straniera, si sente “a casa” tra le pagine in cui Paolo parla delle associazioni mentali legate alle singole parole. Quante volte ci capita di riflettere sul termine più adatto e, soprattutto nelle traduzioni che lasciano spazio alla creatività, di passare in rassegna svariate parole, dondolandoci tra le accezioni e le evocazioni che suscitano?

Un universo complesso e affascinante, quello di Lingua Madre, che fornisce numerose analogie con il mestiere di chi traduce e di chi vive di parole, in senso più o meno lato.

Il nostro consiglio è di leggerlo per scoprirle, una dopo l’altra, lasciandosi trasportare dalla penna sapiente dell’autrice.