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Pirandello e la traduzione culturale

“Ma il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduce in me quello che voi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto di intenderci, non ci siamo intesi affatto.” In queste parole di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, è condensata la modernità delle intuizioni di Pirandello che anticipavano di anni le future riflessioni sulla soggettività della comunicazione e su un’idea di traduzione che travalica la dimensione strettamente linguistica. Questa è la tematica intorno alla quale si snoda Pirandello e la traduzione culturale, il testo che vi proponiamo per questo appuntamento di #traduzioneacolazione, a cura di Michael Rössner e Alessandra Sorrentino, edito da Carocci editore. Si tratta di un volume del Centro Europeo di Studi Pirandelliani di Monaco di Baviera che raccoglie alcuni brevi saggi in cui si analizza l’opera di Pirandello attraverso i metodi sviluppati dal translational turn, ovvero la svolta culturale secondo la quale tradurre non significa soltanto trasferire informazioni da una lingua all’altra, ma consiste in un processo di negoziazione tra due contesti culturali differenti nel quale il concetto di intraducibilità porta all’innovazione.

Analizzando sotto questa lente l’opera di Pirandello si scopre che lui stesso aveva riflettuto sul concetto di traduzione, sia tra culture, sia tra generici letterari, diventando, in veste di autore tradotto, e traduttore, un punto di riferimento per diverse innovazioni culturali del tempo. Scopriamo che l’interesse di Pirandello per la traduzione culturale aveva origine proprio dalla sua esperienza diretta. Da studente siciliano in Germania prima, e da autore affermato a Parigi poi, ebbe modo di vivere di persona la differenza di significato di gesti e azioni tra Paesi diversi, ma anche tra l’isola e il continente. Si può affermare che applicò la traduzione dentro e fuori i generi letterari, nella scrittura, nel teatro e anche nella vita. A questo riguardo, viene citata spesso la novella Lontano, i cui protagonisti, il marinaio norvegese Cleen e la giovane siciliana Venerina, si innamorano, ma non si capiscono e sono destinati all’infelicità L’incomunicabilità non è tanto dovuta a un’incomprensione linguistica, ma a differenze culturali più profonde e all’incapacità di negoziare un terreno comune. Cleen ad esempio non comprende perché non possa mai stare da solo con Venerina, neanche da fidanzato, né la rigida divisione dei ruoli tra marito e moglie. Venerina, dal canto suo, non si sforza di capire la frustrazione dell’amato perché quella è l’unica realtà che conosce.

Nelle sue riflessioni teoriche, Pirandello anticipava già nel 1908, nel saggio Umorismo, molte idee del translational turn, andando nella pratica anche oltre l’idea di ibridazione e innovazione. Secondo Pirandello l’arte era la traduzione del pensiero in un altro linguaggio, che cambia a seconda delle arti: “Tutti e tre [illustratori, attori e traduttori] hanno davanti a sé un’opera d’arte già espressa, cioè già concepita ed eseguita da altri, che l’uno deve tradurre in un’altra arte; il secondo in azione materiale; il terzo in un’altra lingua. Come saranno possibili queste traduzioni?” Va detto però che la sua concezione di traduzione era ancora molto legata a quella di Benedetto Croce che la considerava una diminuzione dell’opera sorgente. Non stupisce quindi che patisse alcuni adattamenti dei sui drammi, tra i più citati Sei personaggi in cerca d’autore, e faticasse a lasciare andare la propria visione di come dovessero essere messi in scena, arricchendo ogni nuova edizione di note e direttive molto precise. Tuttavia, fu anche in grado di riconoscere il valore del contributo dato dal pubblico che può arricchire l’opera con i propri significati. In letteratura, chi scrive traduce il proprio pensiero in parole, ma chi legge le interpreta, aggiungendo un secondo livello di traduzione. Nel teatro si aggiunge poi il livello di lettura di chi cura la regia e di chi interpreta i personaggi, dando origine a una nuova opera creativa.

Tra i tanti esempi di traduzioni culturali, particolarmente interessante è lo studio dedicato alla collaborazione tra Pirandello ed Eduardo De Filippo, a cui affidò la versione in napoletano de Il berretto a sonagli, non senza supervisionarla. De Filippo rimane abbastanza fedele al testo pirandelliano, pur ricontestualizzandone alcuni aspetti. Per esempio nella messa in scena di De Filippo, di cui potete vedere il video qui, la provincia di Catania diventa Caserta, Palermo si trasforma in Napoli. Nel testo di Pirandello, la Saracena, per convincere Beatrice che sarebbe inutile nascondere il tradimento perché ormai è risaputo, usa l’espressione “si chiama nascondere il sole con la rete”, mentre De Filippo le fa dire “annascondere Pulcinella din’t a d’o gravunaro” accentuando con il dialetto l’aspetto comico meno evidente nell’originale.

Scorrendo i vari studi della raccolta, si possono leggere anche diversi esempi di traduzione transmediale e transgenerica. Pirandello stesso portò le proprie novelle a teatro e sognava anche di arrivare al cinema. Quello che forse non si sarebbe aspettato è che i suoi personaggi conquistassero anche manga e fumetti. Nell’ultima parte del libro viene analizzata la serie di manga “Nanairo Inko” di Osamu Tezuka. Il protagonista della serie è un attore talentuoso che ha rifiutato il suo nome anagrafico e ha deciso di chiamarsi “pappagallo color arcobaleno”, è un attore e niente più di questo. Tematiche ricorrenti della serie sono il teatro, la rappresentazione, ma anche i giochi di ruolo, mascheramenti, smascheramenti e i pericoli dell’inganno. Se già questi elementi dovrebbero farci accendere una lampadina, il riferimento pirandelliano è reso ancora più esplicito quando Tezuka dedica uno degli episodi a Sei personaggi in cerca d’autore. Nella sua versione il protagonista della serie è colpito da una paralisi a una mano e nella messa in scena decide di farsi ipnotizzare per raggiungere l’autore, avere maggiori informazioni sulla sua condizione e venire a capo della sua crisi. L’ipnosi lo porta fino al foglio da disegno di Tezuka con il quale intavola una discussione. Non vi sveliamo altro, lasciamo a voi il piacere di scoprire il risultato di questa traduzione tra lingue, generi, immaginari e culture.

Buona lettura!

 

Ringraziamo Ilenia Gradinello, che ha scritto per noi questo articolo.