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Tradurre a Venezia nel XVIII secolo

Se ci seguite da un po’, ormai lo sapete: ci piace scovare libri sulla traduzione diversi dal solito, titoli che vi facciano (e ci facciano) esclamare: “Ma dai, non lo sapevo!”. Bene, Il mercato delle traduzioni – Tradurre a Venezia nel XVIII secolo centra in pieno l’obiettivo. È un libricino di sole 100 pagine, che però racchiude curiosità e aneddoti che potremmo definire “sfiziosi”, e che sono frutto di un accuratissimo lavoro di selezione delle fonti, recuperate nelle biblioteche venete, fiorentine e torinesi. A cura di Alessia Castagnino, borsista post dottorato presso la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo, questo piccolo volume prende in esame il mercato delle traduzioni nella Venezia del XVIII secolo approfondendo tre aspetti connessi a quel periodo storico: l’utilità delle traduzioni, la figura dei traduttori e delle traduttrici (scoprirete nomi mai sentiti, e che sicuramente vanno approfonditi) e infine le strategie traduttive. Quest’ultimo punto è davvero interessante, perché ci permette di capire la mentalità degli editori e l’approccio adottato da traduttori e traduttrici dell’epoca che, ad esempio, si ponevano già la questione del rendere comprensibile ai lettori italiani contesti culturali diversi, e per questo aggiungevano note e postille proprio come si fa al giorno d’oggi. Curioso, ma non strano per quei tempi, l’atteggiamento di alcuni editori che, nelle prefazioni di alcuni libri tradotti, “avvertivano” il lettore della gravità di certe affermazioni fatte dall’autore originale, soprattutto quando quest’ultimo esprimeva opinioni negative sulla Chiesa, sulla religione cristiana o sul Papa:

[…] il traduttore francese ha già esposto nella sua prefazione quanto può bastare per rendere ogni cattolico prevenuto, e guardingo a que’ luoghi, ove lo scrittore inglese s’esprime secondo le false massime della sua religione, e copia le maldicenze scritte contro la Chiesa romana da autori eretici prima di lui. […] ma per non rendere l’edizione imperfetta, o meglio dire mancante neppure di quelle parti, che da un giusto estimator delle cose debbonsi riguardar cose biasimevoli, e difettuose, s’è conservata intera l’opera dell’Inglese, aggiungendo però a luogo alcune brevi annotazioni, le quali servono a rendere avvertito il lettore, come nelle carte di marina servon le croci, che vi si appongono, per indicare le secche, e gli scogli.

Qua e là, le postille servivano anche ad “avvicinare” il testo al volgo. È il caso di trattati di agricoltura tradotti con il solo scopo di trasmettere alle classi lavoratrici più umili un sapere a cui altrimenti non avrebbero potuto accedere, e arricchiti appunto da note volte ad abbassare il registro ad uso dei contadini. Oggi forse storceremmo il naso di fronte a questa pratica, considerando che attualmente si insiste molto sulle varietà di registri esistenti e si cerca di insegnare alle giovani leve a riconoscerli e a rispettarli senza stravolgerli.

La finalità educativa delle traduzioni nel XVIII secolo, che venivano caldamente incoraggiate anche per rendere un servizio alla nazione e aiutarla a progredire, è ben documentata a pagina 39 e a pagina 50, dove troviamo rispettivamente “MEDICINA FACILE” del 1770, tradotto da ignoti, ovvero un “formulario di medicamenti di agevole preparazione utile ad ogni professore; ma principalmente a’ chirurghi di campagna, a’ curati, ed alle persone caritatevoli che distribuiscono rimedi alla povera gente.”, e “DEGLI INCENDI” del 1795, tradotto anche questo da ignoti “onde colla sua diffusione potesse il nostro paese meglio conoscere i mezzi salutari di prevenire, o di estinguere gl’incendi, pur troppo ovvi e fatali, particolarmente nelle città e luoghi borgati.”

E in fundo, ma non tanto dulcis, anche se ormai può solo farci sorridere, Castagnino ci riporta anche un esempio di pesante censura dettata dalla “licenziosità” di certi racconti: vi diciamo solo che è riferita a una versione veneziana del 1720 dell’opera Le Mille e una notte tradotta dal francese, e che si trova a pagina 90. Una chicca. Ora il libricino dovete proprio comprarlo. Buona lettura, e vivete felici[1].

[1] Formula con cui sembra fossero solite chiudersi le prefazioni alle traduzioni dell’epoca.