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Tradurre il linguaggio botanico

Le prime traduzioni di romanzi ambientati in Australia e Nuova Zelanda ebbero poco successo in Italia per via di una inadeguatezza culturale e linguistica a riconoscere le descrizioni di fiori, giardini o paesaggi di quei luoghi. È questo uno dei presupposti da cui parte La traduzione del linguaggio botanico. I giardini emblematici, volume curato da Rosanna Masiola Rosini che rientra in uno studio più ampio intitolato Trilogy: Food, Fashion and Flowers, volto ad analizzare topos descrittivi a forte valenza culturale come fiori, moda e cibo, ritenuti intraducibili da molti.

Tradurre il linguaggio botanico è difficile al giorno d’oggi nonostante i mezzi di cui disponiamo, figuriamoci quando non esistevano dizionari specializzati e la sempre-sia-lodata ricerca per immagini di Google. Canguro, romanzo dello scrittore D.H. Lawrence (suo L’amante di Lady Chatterley) fu pubblicato nel 1924 ma arrivò in Italia solo negli anni Cinquanta, quando “l’Australia era ignota e la flora australiana lo era ancora di più”, motivo per cui la traduzione risultò molto difficile e il libro venne accolto con una certa freddezza. All’epoca descrivere in traduzione la flora e la fauna di posti così remoti era un’impresa, perché molte specie non erano note nel nostro paese. Ne consegue che la tendenza era quella di omettere o generalizzare. Un esempio su tutti, tratto proprio da Canguro, è black-boy: oggi sappiamo che è il nome comune della Xantorrea, endemica del bush australiano, ma allora la pianta era sconosciuta e fu pertanto resa con “altre piante strane” (state sorridendo, lo sappiamo, lo abbiamo fatto anche noi).

Per un traduttore che omette o generalizza, ce n’è uno che “abbellisce” snaturando il paesaggio. In Cime Tempestose Emily Brontë descrive la natura selvaggia e il clima sferzante della brughiera, ma in una delle primissime traduzioni italiane (siamo negli anni venti), qualcosa non torna:

– […] Pure, bracing ventilation they must have up there at all times, indeed: one may guess the power of the north wind, blowing over the edge, by the excessive slant of the few stunted firs at the end of the house; and by a range of gaunt thorns all stretching their limbs one way, as if craving alms of the sun.

– Aria pure salubre non ne deve certo mancare lassù, in nessuna stagione: si può misurare la forza grande del vento di settentrione soffiante sui chiusi, osservando l’eccessiva pendenza di pochi pini intristiti contigui alla casa e l’aspetto di una spalliera squallida di spinalbe che tende le sue braccia tutte in una direzione, quasi a chiedere un’elemosina di sole.

Come fa giustamente notare la Rosini, “l’aggiunta di spalliera è termine del giardinaggio, come pure le spinalbe, che suggeriscono la mano di un giardiniere, al posto di “cespuglio di biancospino”, che cresce selvaggio e marcato dalla scelta dell’autrice che non parla di giardinaggio e spalliere, ma parla di rovi e thorns.” In effetti non ha senso rendere la desolazione e l’introspezione di cui parla la scrittrice inglese utilizzando una terminologia tipica di una pratica caratterizzata dalla ricerca dell’estetica e dell’ordine.

Che dire poi quando un garden inglese in cui crescono “radishes, onions and carrots” veniva tradotto erroneamente con giardino invece che con orto? Non sempre, però, l’equivalente semantico esiste: è il caso de Il Giardino dei Ciliegi, che in inglese è The Cherry Orchard. Orchard rientra nell’area semantica degli alberi da frutto e quindi la traduzione dovrebbe essere Il Ciliegeto, ma in italiano non lo diciamo e non è comune come invece lo sono aranceto o meleto.

Di esempi e curiosità come quelli che abbiamo riportato ne troverete molti sfogliando La traduzione del linguaggio botanico, dal momento che l’obiettivo del volume è presentare un corpus di testi paralleli dall’inglese all’italiano (e in minima parte anche viceversa) che permettano a chi si interessa di lingua e traduzione di individuare i punti di incontro e le divergenze fra le due lingue. I temi sono vari e ben argomentati: si va dalle latinizzazioni all’inglese botanico, dai modelli vittoriani ai “giardini nelle foreste” (polisemia portami via!), dal paesaggismo femminile alla sicilianità e mondo arabo, fino a un’analisi del perché gli inglesi non hanno capito a fondo Botticelli. E ora vi salutiamo, dobbiamo correre ad annaffiare le piante!