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Tradurre la vita

Tradurre la vita, titolo impegnativo che farebbe esitare più di una penna. L’autore del libro che vi proponiamo oggi, invece, non teme le sfide, anzi le raccoglie di buon grado. In poco meno di cento pagine, Serafino Balduzzi ci racconta come ha incontrato la traduzione e il suo metodo. Possiamo anticipare che affronta la questione di petto.

Dopo una lunga carriera in Pirelli con il ruolo di “traduttore” tra gli interessi di azienda e sindacati durante il Sessantotto, il terrorismo e le ristrutturazioni, Balduzzi va in pensione, ma non in vacanza. Chiuso il capitolo lavorativo, gli resta “in testa l’allenamento a esplorare ambienti e motivazioni umane” che applica alla lunga lista di letture in sospeso e da lì l’illuminazione: continuare a fare il comunicatore, ma di libri.

Tutto parte da Xiyou (Il Viaggio in Occidente), la storia di una scimmia cinese immaginaria, “Sun Wukong, Scimmiotto Consapevole del Vuoto” che rappresenta la leggenda cresciuta intorno al viaggio del monaco detto Tripitaka, dalla Cina all’India per raccogliere sutra buddisti. Man mano che legge l’opera nella traduzione di Andé Lévy, Balduzzi inizia a chiedersi “come verrebbe in italiano?”. Decide di scoprirlo, dedicandosi alla traduzione del testo dalle 9 di sera alle 3 di notte e descrive così quella prima impresa: “ci scivolai dentro per due anni, fu la mia scuola sia di pratica al computer sia del nuovo ramo. La lettura di testo e contesto come si fa per tradurre non ha uguali, arriva fino alla pagliuzza.”. Insomma, quella di Balduzzi si può definire una formazione sul campo.

L’incipit del libro rende bene l’approccio e il piglio dell’autore:

«- Cosa sarebbe “traduzione letteraria”?

Bada dove ti avventuri! Leggi testi amichevoli, come After Babel di George Steiner. Ma non invischiarti nella carta moschicida metafisica, fosse pure Walter Benjamin. E burlati della fedeltà vecchia e nuova, analogica da burocrate o digitale da automa.

La dimensione naturale del tradurre vecchi classici è leggere, capire e scrivere che ci hai cavato da lettura, indagine sul contesto e riflessione. Scrivere per condividere con tuoi contemporanei la vita che hai trovato imprigionata in carte remote, di cui sono morti gli autori e i lettori originari. La traduzione “elegante” e inanimata tradisce la traccia sopravvissuta dell’autore antico e buggera il lettore moderno. La copisteria lava via tutto.

Quando tu leggi per tradurre puoi, devi, chiedere aiuto a capire testo e contesto; quando scrivi fai la frittata. Ricordo un meschino professore portoghese che aveva tradotto un classico portoghese in italiano balordo, e fra i lazzi dell’uditorio dimostrava con grammatiche e dizionari come lui si figurava che dovesse essere l’italiano.

-Ridi degli altri, ma traduci dal cinese che non sai. Cosa ti è saltato in mente?

Mi è venuto in mano, prima che in mente. Se hai pazienza, ti racconto…»

Da queste prime righe si può già intuire la posizione di Balduzzi nei confronti della ritraduzione dei classici esposta con uno stile schietto, sagace e, talvolta, compiaciuto. Nel testo vengono affrontati temi spinosi, come l’annosa questione della fedeltà che, secondo Balduzzi, va accordata soprattutto al pubblico moderno. Questo significa saper leggere l’opera nel contesto in cui è nata, conoscere molto bene l’intenzione con cui è stata scritta, ma interpretarla come fa un musicista con uno spartito, per renderla fruibile a occhi e orecchie moderni senza produrre un calco del testo fonte. Il segreto è sapere dove porre un limite a questo processo di attualizzazione perché non diventi un addomesticamento. Nel testo, Balduzzi non esita a citare anche le critiche mosse in ambiente accademico ad alcune sue rese ritenute troppo libere che difende esplicitando il ragionamento alla base delle sue scelte.

Pubblicando stralci di carteggi, virtuali o epistolari, l’autore descrive, senza peli sulla lingua, il rapporto con il mondo dell’editoria, non sempre idilliaco: «Non trovai di meglio che far stampare l’amico Paul [n.d.r. Si riferisce a Memorie del cardinale Jean François Paul Retz] in misere braghe tipografiche da… […] La miseria incluse qualche strafalcione di correzione automatica (come shifafone per schiaffone) o una legatura che si sfasciava alla prima apertura.» Se volete scoprire a chi sono rivolte queste critiche, dovrete leggere il libro.

Un tema che ricorre spesso in queste pagine è sicuramente la lettura, non soltanto intesa come principale strumento per decifrare il testo di partenza, se accurata e puntigliosa, ma anche come modo per dar vita alla parola scritta, quando letta con la giusta intenzione. Sebbene ci sia la tendenza ad accordare alla parola scritta maggiore autorevolezza, forse per via del suo supporto tangibile e permanente, secondo l’autore “la parola è voce” e senza la voce non ci può essere dialogo. Prima che gli audiolibri diventassero di moda, Balduzzi ha prestato la voce a introduzione e note de Il Viaggio in Occidente e, in versione integrale, al Decameron e all’Orlando Furioso. Sulla base di questa esperienza, ci fornisce qualche consiglio su come leggere un libro ad alta voce in modo coinvolgente. Chi legge per un pubblico deve sforzarsi di non essere banale, cercando di dare qualcosa in più di una semplice lettura a mente, ponendo l’accento dove serve e scegliendo un ritmo che consenta la comprensione anche dei libri più complessi. Per trasmettere il testo con slancio, si può scendere a qualche compresso, perché conta più l’espressività della fedeltà. Questo però non significa travisare il significato del testo, né sovraccaricarlo con un’interpretazione eccessiva da caratterista che toglierebbe spazio a quella di chi ascolta.

Quale modo migliore di congedarci se non augurandovi buona lettura?