Quante volte vi sarà capitato di dover cercare in rete il significato di un messaggio di errore, oppure di abbandonare un sito o una app con le orecchie fumanti di rabbia? Con questo articolo speriamo di rassicurarvi: scoprirete infatti che non era colpa vostra, ma di uno UX writing poco efficace. Vi proponiamo quindi il testo UX microcopy di Kinneret Yifrah, tradotto da Roberta Basso ed edito da Flacowski. Si tratta di uno dei consigli di lettura che Valentina Muccichini ci ha dato durante l’intervista del Circolo PickWiP incentrata proprio sullo UX writing. Questo testo è una piccola miniera di dritte preziose per chi vuole imparare a scrivere microtesti efficaci e perché no, anche per chi traduce, dato che, come ci ha spiegato Valentina, la localizzazione ha molto in comune con lo UX writing.
Per parlarvi di quello che troverete in questo manuale, seguiremo il principio di chiarezza che lo anima, elencando qui sotto gli argomenti principali:
- Che cos’è il microcopy?
- Tono di voce
- Esperienza e coinvolgimento
- Usabilità
CHE COS’È IL MICROCOPY?
Un tempo si progettavano siti minimalisti perché si credeva che le parole appesantissero le interfacce e allontanassero il pubblico. Poi, grazie al lavoro di ricercatori e ricercatrici come Clifford Nass e Corina Yen, si è scoperto che le persone interagiscono con i computer seguendo norme sociali che applichiamo nella comunicazione con altri esseri umani. Prima dell’era digitale il linguaggio era uno strumento esclusivo delle persone, quindi ora se una macchina si rivolge a noi attraverso lo stesso codice, il nostro cervello reagisce come se l’altra parte fosse umana e ha bisogno che la comunicazione avvenga secondo gli stessi principi relazionali. Va da sé che i testi non sono un corredo, ma il cuore della progettazione di un prodotto digitale. Solo se usa le parole giuste, un sito riuscirà a instaurare un dialogo con noi, coinvolgendoci, motivandoci e guidandoci nel completamento di un’azione.
Il termine “microcopy” fu usato per la prima volta da Joshua Porter che nel 2009 pubblicò sul suo blog l’articolo Writing Microcopy. Nel post Porter raccontava di come il 5-10% delle transazioni su un e-commerce non andassero a buon fine a causa di un errore di inserimento dei dati di fatturazione. Provò quindi ad aggiungere la frase “Be sure to enter the billing address associated with your credit card” accanto al campo dell’indirizzo di fatturazione e cosa ottenne? La percentuale di errori si ridusse, l’assistenza clienti risparmiò tempo e le vendite aumentarono. In quel breve articolo, Porter non soltanto dimostrò che “poche parole al posto giusto nel momento giusto possono fare la differenza nell’esperienza utente”, ma coniò anche un nome per questo tipo di testo: microcopy, appunto.
In soldoni, microtesti efficaci riducono le frizioni e agevolano il più possibile l’esperienza utente. Volendo invece dare una definizione da manuale, si può dire che il microcopy consiste in “parole o frasi della user interface (interfaccia utente) direttamente legate alle azioni che l’utente compie:
- La motivazione prima dell’azione
- Le istruzioni che accompagnano durante l’azione
- Il feedback dopo l’azione”
Ma quindi basta piazzare qualche parolina nei punti critici e il gioco è fatto? Non è così semplice, ci sono molti aspetti da considerare ancora prima di iniziare a scrivere. Vediamone alcuni.
TONO DI VOCE
Se la fiducia dell’utenza dipende da come “parla” il prodotto digitale, la prima cosa da fare è stabilire il tono di voce del brand, in modo che ci sia coerenza tra elementi verbali e non verbali all’interno del sito o della app, oltre che con eventuali canali social. Una comunicazione non coerente rischia di instillare un senso di sfiducia che allontana il pubblico. Conoscere la personalità del brand consente di capire se usare ad esempio un tono formale o cordiale, se adottare espressioni gergali, oppure ancora se possiamo concederci l’ironia e in che misura.
Riportiamo un esempio tratto dal capitolo Il suono della personalità:
Nike, famosa e seria:
“Richiesto per adempiere il Children’s Online Privacy Protection Act.”
J. Peterman, cordiale e accogliente:
“Scusa, sono i nostri avvocati a chiedercelo.”
Come potete vedere, i due brand comunicano la stessa informazione con un tono di voce totalmente diverso, ma giusto per le rispettive personalità
Considerato quanto influenza lo UX writing, il tono di voce va stabilito in una fase preliminare alla scrittura. L’autrice traccia un percorso passo passo attraverso esercizi ed esempi concreti per aiutare a stabilire vision, mission, personalità e valori di un’azienda in funzione del suo target, che va studiato con altrettanta cura. Vi anticipiamo già che ci saranno un sacco di “perché” a cui trovare risposta.
Particolarmente interessante è la sezione dedicata all’ironia. Spesso per far sembrare un brand più umano, si pensa che la soluzione migliore sia puntare sulla simpatia, producendo microcopy, che magari soddisfano l’ego di chi li scrive, ma risultano esasperati e non forniscono un buon servizio di UX writing. L’umorismo va usato soltanto se corrisponde alla personalità del brand, altrimenti si rischia di danneggiarne la relazione con il pubblico. Nel caso in cui la simpatia rientri nel tono di voce dell’azienda, bisogna però accertarsi di usare il linguaggio più adeguato alla cultura e alla fascia di età del target, ciò che diverte un pubblico adulto potrebbe non essere colto da adolescenti e viceversa. L’ironia non deve comunque essere l’unica cifra espressiva, ma va dosata e sfoderata con parsimonia. Non bisogna farsi prendere la mano, altrimenti si rischia di annoiare, soprattutto se la si inserisce nei testi visti con maggiore frequenza, o, peggio ancora, di sacrificare la chiarezza per fare esercizio di stile. In sostanza, quando si scrivono i microtesti bisogna avere ben chiaro chi li leggerà. Al centro della progettazione di un prodotto digitale, infatti, c’è l’utente con le sue esigenze.
Come si migliora l’esperienza utente? Con le parole. Vediamo come.
ESPERIENZA E COINVOLGIMENTO
Una volta stabilito il tono di voce, si entra nel cuore dell’esperienza utente. Nella seconda parte del libro, Kinneret Yifrah ci guida per mano attraverso i vari passaggi che in genere compiamo quando ci relazioniamo con un prodotto digitale e lo fa tenendo in mente il motto “ogni parola è un’opportunità”.
Dai moduli di iscrizione, alla pagina Contatti, passando per i messaggi di conferma, fino ad arrivare ai singoli pulsanti, nulla viene lasciato al caso. Ogni capitolo analizza quali strategie adottare per riuscire a incoraggiare e motivare le persone che raggiungono il prodotto digitale a rimanerci e a compiere le azioni desiderate.
Affinché un sito o una app risulti accogliente e facile da usare, occorre eliminare qualunque ostacolo che possa fungere da deterrente. Compilare un modulo di iscrizione è impegnativo? Certo, nessuno ha tempo, né voglia, tantomeno lascia volentieri i propri dati personali. E allora come si convince la gente a farlo? Intanto richiedendo solo le informazioni necessarie, adottando piccole accortezze come personalizzare i form preimpostati, ma soprattutto spiegando perché vale la pena registrarsi.
Tra i momenti più delicati da gestire, in cui un buon microcopy può fare davvero la differenza, ci sono i messaggi di errore. Va premesso che questo è l’unico testo che si scrive sperando che non venga mai letto. Il messaggio di errore infatti interrompe momentaneamente il viaggio dell’utente e obbliga a soffermarsi per capire cosa è andato storto.
Gli obiettivi di questi messaggi sono fondamentalmente tre:
- Spiegare in modo chiaro il problema
- Dare una soluzione
- Trasformare l’intoppo in un’esperienza il più possibile piacevole
In sostanza, per scrivere questi microcpy in modo efficace, bisogna calarsi nella parte di una persona addetta al servizio clienti. Occorre quindi fornire le informazioni necessarie con parole semplici e chiare, senza entrare in dettagli tecnici. Non bisogna aumentare il senso di frustrazione dell’utente facendolo sentire in difetto o prendendolo in giro (no, non è un buon momento per le battute). Questo non significa però limitarsi a impartire fredde istruzioni, occorre comunque adottare una voce naturale e umana.
Tra i tanti esempi proposti nel manuale, ci ha colpito quello di Fitbit:
Come spiega l’autrice, in questo caso l’errore dipende dal sistema, ma è importante spiegare all’utente che non ci può fare nulla perché altrimenti, tentando di risolvere il problema non farebbe altro che aumentare la propria frustrazione. Fitbit però non si limita a scusarsi e a spiegare il motivo dell’intoppo, ma, grazie a una buona sinergia tra testo e grafica, coglie l’occasione per dare qualche suggerimento su come ingannare il tempo in attesa che il problema venga risolto.
I messaggi di errore ci accompagnano verso l’ultima parte di questo articolo, in cui cercheremo di capire dove è più strategico “piazzarli”, questi microtesti.
USABILITÀ
Alle persone basta poco per abbandonare una app, un piccolo ostacolo e passeranno a un’altra. Quindi un buon microcopy si farà trovare esattamente là dove serve, pronto a prevenire momenti di attrito, rassicurare o proporre soluzioni immediate.
Sebbene questa parte del libro sia più incentrata su aspetti legati alla progettazione, chi traduce potrebbe trovare interessante il capitolo dedicato all’accessibilità. Quando si progettano i testi bisogna infatti sempre pensare che potrebbero essere letti mediante screen reader, quindi è fondamentale inserirli nell’interfaccia seguendo un ordine preciso, in modo che tutte le informazioni fondamentali vengano acquisite correttamente. Con la stessa cura vanno scelte anche le parole. Bisogna infatti sempre chiedersi “come suona il tuo microcopy per uno screen reader?” Le persone che usano screen reader infatti non colgono un quadro completo dell’interfaccia, quindi un testo poco esplicito inserito in una grafica potrebbe non essere compreso, anche se esiste il testo alternativo per descrivere le immagini.
Prendiamo ad esempio le pagine 404, ovvero gli stati vuoti che si visualizzano quando, ad esempio, cerchiamo di caricare una pagina che non è più presente sul sito. Sono un’opportunità da non sprecare, quindi è giusto personalizzarle, magari con qualche trovata spiritosa per strappare un sorriso mentre si reindirizzano le persone sulla home page, ma non bisogna esagerare.
In questo caso, ad esempio, l’immagine è sicuramente spiritosa, ma per niente chiara. Non viene spiegato all’utente dove si trova, né come tornare indietro, e testo e immagine potrebbero non essere compresi da chi usa screen reader.
Infine, come sa bene chi traduce, un testo è accessibile se è scritto con il registro giusto per il pubblico a cui è rivolto. Quindi i microtesti per una app generalista dovranno usare un linguaggio comune, ma quelli per sistemi complessi, come i gestionali rivolti a un target specialistico, dovranno invece adottare i tecnicismi e il gergo del settore per dimostrare che il sistema è all’altezza delle aspettative.
Come avrete intuito, l’argomento ci appassiona. Speriamo di non avervi annoiato, ma di avervi trasmesso un pizzico di curiosità per leggere il libro.
Buona lettura!