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Scrittori che ringraziano i traduttori

Il sogno di Luis

Che cos’hanno in comune Yasmina Melaouah, Ilide Carmignani e Antonietta Pastore, oltre al fatto di essere tre grandi traduttrici? La gratitudine degli scrittori a cui danno voce nella nostra lingua. In occasioni diverse, infatti, Daniel Pennac, Luis Sepúlveda e Murakami Haruki hanno ringraziato pubblicamente le loro “controparti” italiane riconoscendo loro un merito che di solito si tende a dimenticare e facendo cadere, per una volta, il velo di invisibilità che ricopre la categoria.

Nel 2005, Luis Sepúlveda aprì le Giornate della Traduzione Letteraria con una bellissima conferenza inaugurale in cui ringraziò non solo la sua traduttrice italiana, Ilide Carmignani, ma anche tutti i traduttori delle altre nazionalità, citandone molti uno per uno e anteponendo al loro nome l’appellativo “amico/amica”:

In tanti momenti di meritata pigrizia, mi fermo davanti al mobile che accoglie i miei libri in traduzione e penso al mio amico Willi Zubrüggen, che rilegge le sue annotazioni davanti al vecchio Reno, al mio amico Achileas Kiriakidis che prende appunti in un malinconico bar di Atene, alla mia amica Ilide Carmignani che cura le sue meravigliose piante mentre rivede tempi verbali e bei sostantivi, […] al mio amico François Maspero che mentre traduce nel suo appartamento di Parigi si serve un bicchiere di vino e non lo tocca finché non ha finito il capitolo, […] alla mia amica Sinan Gürdagcik, capace di descrivere tutti i profumi di Instabul nelle lettere con cui mi consulta, […] al mio amico Peter Bush che mi invia una lista di domande e mi chiede se ho capito una volta per tutte che il buon whisky si beve senza ghiaccio. […]”

Se già da queste poche righe si riconosce l’affetto che lo scrittore cileno provava per i propri traduttori, una frase su tutte riassume il rispetto che aveva per loro:

“Spesso […] sono entrato nelle librerie, per esempio italiane, insieme a qualche amico che, vedendo i miei libri con titoli sconosciuti, mi dice: «Accidenti, guarda, ci sei anche tu». E ogni volta, invariabilmente, rispondo: «No, ci siamo io e la mia traduttrice».”

Altrettanto riconoscente è lo scrittore francese Daniel Pennac, che Yasmina Melaouah – parole dello stesso autore – “fa rinascere” in italiano. Pennac, protagonista di uno dei dodici discorsi raccolti nel volume “L’arte di esitare”, edito da Marcos Y Marcos, non prova solo gratitudine: lui dice chiaramente che, senza traduttori, non sarebbe ciò che è; che, senza traduttori, i suoi libri assomiglierebbero alle istruzioni di una lavatrice tradotte con Google Translate. Come non apprezzare l’onestà di un autore che paragona i propri traduttori a psicanalisti costretti a “calarsi in una dimensione di ossessività la quale, fra parentesi, è la stessa del romanziere al lavoro” e propone quindi di pagarli di conseguenza? Insomma, se non è amore questo…

E se questi due scrittori ringraziano perché la loro sensibilità li porta a capire quale sforzo c’è dietro a un lavoro senza averlo mai affrontato in prima persona, ma di cui riconoscono appieno l’importanza, Murakami Haruki ringrazia proprio perché, al contrario, lui è anche traduttore e può quindi parlare con cognizione di causa: in giapponese ha dato voce a scrittori del calibro di Raymond Carver, J.D. Salinger e Francis Scott Fitzgerald.

Nel 2017 Antonietta Pastore ha vinto il Premio Noma per la Traduzione di Letteratura Giapponese, e Murakami ha voluto renderle omaggio con un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. Ecco le sue parole:

“Ho un profondo interesse per il modo in cui i miei libri vengono tradotti nelle varie lingue del mondo. Inoltre so bene quanti problemi comporti la traduzione, quindi provo una profonda gratitudine per tutti i traduttori che in vari paesi mi traducono, e al tempo stesso, se si presenta l’occasione di fare qualcosa per loro, per quanto è in mio potere sono lieto di farlo. Così sono veramente felice che Antonietta Pastore abbia ricevuto il Premio Noma per la Traduzione letteraria per la versione italiana del mio romanzo L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio.”

Sapete che cosa sognava di costruire Sepúlveda da bambino? Una macchina tritura-dizionari per fabbricare pillole che, divise per colore, gli avrebbero permesso di parlare tutte le lingue del mondo. Non ci è riuscito, e qui siamo noi a dover ringraziare lui, anche se purtroppo non può più sentirci: grazie, Luis, per non averla costruita e averci così permesso di fare della traduzione il nostro lavoro, uno dei più belli del mondo.

 

Le parti in corsivo relative al discorso di Sepúlveda sono tratte da “Le giornate della traduzione letteraria”, volume della collana “Quaderni di Libri e Riviste d’Italia” numero 59, edito da Iacobelli. Traduzione di Ilide Carmignani.

L’articolo scritto da Murakami Haruki può essere letto per intero cliccando su questo link: https://www.corriere.it/cultura/17_aprile_06/antonietta-pastore-murakami-haruki-e7c07ed4-1ae7-11e7-953e-ab8f663f73c7.shtml