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La donna invisibile – Traduttrici nell’Italia del primo Novecento

La donna invisibile

Ricordate quando vi abbiamo parlato di Lucia Rodocanachi, traduttrice all’ombra del ben più famoso Elio Vittorini? Ecco, prima di leggere Si diverte tanto a tradurre?, noi non la conoscevamo, e pensavamo che quello di Lucia fosse un esempio unico nel suo genere, invece una nuovissima uscita della casa editrice Quodlibet ci ha fatto capire che ci sbagliavamo, e di grosso, anche. Sì, perché di italiane traduttrici “invisibili” nel vero senso della parola ce ne sono state tante. Per ironia della sorte, l’unico nome che manca nell’elenco delle donne citate nel libro è proprio quello di Rodocanachi, e per stessa ammissione delle curatrici, Anna Baldini e Giulia Marcucci: “Il nostro libro non presenta la vicenda più eclatante […], quella di Lucia Rodocanachi: la “negra”, la ghost translator che ha lavorato per i maggiori scrittori-traduttori degli anni Trenta e Quaranta, la vera “donna invisibile” del “decennio delle traduzioni”. Il caso Rodocanachi […] illumina prassi collaborative in cui una versione di servizio (spesso prodotta da una donna) viene elaborata da uno scrittore (spesso maschio) riconosciuto e prestigioso, che le dà veste letteraria.”

 

Il silenzio degli archivi

Ma veniamo al libro in questione: La donna invisibile – Traduttrici nell’Italia del primo Novecento ci fa conoscere 11 traduttrici pressoché ignote ai più, fatta eccezione per Natalia Ginzburg, che comunque è diventata famosa non per il contributo dato alla traduzione ma per la sua attività di scrittrice. Ve le presentiamo una per una così come compaiono nell’indice del libro, anche se in questo articolo non approfondiremo le loro storie, perché come sempre vogliamo solo incuriosirvi e poi lasciare a voi il piacere della scoperta:

 

  • Ebba Atterbom (1868-1961)
  • Ada Salvatore (1878-1961)
  • Olga Malavasi Arpshofen (1879-?)
  • Lavinia Mazzucchetti (1889-1965)
  • Rosina Pisaneschi (1890-1960)
  • Alessandra Scalero (1893-1944)
  • Maria Martone (1900-1990)
  • Ada Prospero (1902-1968)
  • Natalia Ginzburg (1916-1991)
  • Gabriella Bemporad (1904-1999) e Giovanna Bemporad (1923-2013)

 

Quanti nomi mai sentiti, vero? Perché così tante traduttrici sono rimaste invisibili? La risposta di Anna Baldini è duplice: sia “per il mestiere che hanno esercitato”, destinato per antonomasia a restare non riconosciuto, sia “per il genere a cui appartenevano”, senza contare che, se finivano per sposarsi con colleghi traduttori, diventavano “mogli di”, e il loro lavoro veniva prontamente offuscato da quello del coniuge. Se nella prima metà del Novecento le traduttrici russe che convolavano a nozze con traduttori italofoni firmavano da sole le proprie traduzioni verso l’italiano oppure vedevano il loro nome riportato a fianco di quello del marito, le donne del nostro Paese “finivano per essere spesso le più naturali destinatarie di lavori in subappalto”. La già citata Rosina Pisaneschi, ad esempio, aveva tradotto diversi testi a quattro mani con il marito Alberto Spaini, ma era stato quest’ultimo a prendersi l’unico merito. Infine c’è da considerare il “silenzio degli archivi”, che non è il titolo di un nuovo film thriller, bensì “un’altra forma di invisibilità che ricorre nei vari capitoli, rendendo più difficoltosa – ma non impossibile – la ricostruzione di alcune traiettorie. Spesso negli archivi delle case editrici o in specifici fondi mancano carte relative a queste intellettuali, e le informazioni sulle loro biografie sono recuperabili dai carteggi con altri attori del campo letterario, spesso uomini, i cui archivi sono invece stati conservati.”

 

Grazia, graziella e… Alessandra

“Aprendo una copia di Orlando di Virginia Woolf nell’edizione Oscar Mondadori del 1986 si legge che la traduzione è di Grazia Scalero, un nome emblematico dell’invisibilità, persino della cancellazione delle donne in ambito editoriale. Perché Grazia Scalero non esiste”. A esistere, invece, è Alessandra Scalero, la prima ad aver tradotto Virginia Woolf in Italia. E scusate se è poco. Altrettanto “non pervenuta” è Maria Martone, traduttrice molto prolifica tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta e grande conoscitrice della letteratura americana dell’epoca: sua, ad esempio, la traduzione del 1945 di Per chi suona la campana di Ernest Hemingway, che Einaudi le fece tradurre dal tedesco e per la quale lei pretese e ottenne 15.000 lire perché era “un macello”. Nel saggio a lei dedicato, che è uno dei più ricchi di informazioni e dei più avvincenti, vi perderete a leggere l’elenco delle traduzioni che Martone ha firmato. Una piccola curiosità, infine, su Ebba Atterbom, la prima “invisibile” dell’indice: nel 1903 tradusse verso lo svedese il romanzo Elias Portolu della scrittrice sarda Grazia Deledda, all’epoca sconosciuta in Svezia, mostrando tutta la propria lungimiranza, perché poi, nel 1926, Deledda vinse il Premio Nobel per la letteratura. Per quella traduzione, la Atterbom fu “attenta e decisa nell’insistere che venissero rispettate alcune sue scelte traduttive” e “nel pretendere di rivedere le bozze prima della stampa”.

Le storie legate alle traduttrici che abbiamo citato sono molto più interessanti e articolate di come ve le abbiamo presentate noi, e vi assicuriamo che vale la pena di approfondirle prima di tutto perché sono un’importantissima testimonianza della cultura e del pensiero dell’epoca, e poi perché sono ricche di spunti di riflessione, riferimenti bibliografici e curiosità legate alle dinamiche interne dell’editoria dei primi del Novecento.

 

Non aprite quel Pdf!

Un consiglio: se volete comprare il libro, attenzione all’e-book che trovate sul sito dell’editore, perché non è compatibile con il Kindle. Noi lo abbiamo comprato senza tenere conto di questo particolare (che pure era segnalato), e abbiamo dovuto leggerlo in formato pdf sul pc, perché sul Kindle la formattazione risultava tutta sballata. Molto meglio comprarlo cartaceo: spenderete un po’ di più, ma potrete godervelo con comodità mentre vi rilassate sul divano, oppure a letto, poco prima di spegnere la luce.