“Si direbbe che stessi pensando ad altro mentre mi lavavo i capelli tingendoli di blu, e di certo due bicchieri di vino rosso non aiutarono la mia concentrazione. Lascia che ti spieghi.”
Così ha inizio il racconto di Aaliya, la settantaduenne protagonista del romanzo intitolato La traduttrice, di Rabih Alameddine, edito da Bompiani nel 2013.
Aaliya ci prende per mano e ci guida attraverso la storia del Libano tra le vie di Beirut, devastate dai conflitti. La letteratura e la traduzione si inseriscono in questa narrazione come l’ancora di salvezza della protagonista, una donna ironica, anticonformista, lavoratrice, divorziata e senza figli, che si muove in un contesto in cui tutto ciò è considerato inaccettabile.
“Per la maggior parte della mia vita da adulta, dall’età di ventidue anni, ho cominciato una traduzione ogni primo gennaio.” […] “Negli ultimi cinquant’anni ho tradotto un po’ meno di cinquanta libri – trentasette, se ho contato bene.”
“Libri dentro scatole – scatole di carta, di fogli sciolti tradotti. È questa la mia vita. Molto tempo fa cedetti alla irrefrenabile passione per la parola scritta. La letteratura è la mia buca nella sabbia. Lì dentro gioco, costruisco i miei fortini e i miei castelli, mi diverto da matti. È il mondo al di fuori di quel box per bambini a crearmi qualche problema. Mi sono adattata umilmente, sia pure in modo non convenzionale, a questo mondo visibile per riuscire a ritirarmi senza troppo disturbo nel mio mondo di libri. Per continuare la metafora, se la letteratura è la mia buca nella sabbia, allora il mondo reale è la mia clessidra – una clessidra che fa scorrere un granello alla volta. La letteratura mi dà vita, e la vita mi uccide. Be’, la vita uccide tutti.”
Al di là della forma e della traduzione italiana, che a nostro avviso in alcuni passaggi tradisce i tempi spesso e volentieri troppo stretti concessi al traduttore, ci preme mettere l’accento sulle dinamiche relative al processo traduttivo, così come le descrive Aaliya, dinamiche in cui ci siamo riconosciuti in pieno, a partire dall’entusiasmo che precede ogni nuovo progetto.
“La fine dell’anno si avvicina, l’inizio di un nuovo anno. L’anno è morto. Viva l’anno! Intraprenderò il mio prossimo progetto. È la parte dell’anno che mi entusiasma di più.” […] “Gli inizi sono gravidi di possibilità. Nonostante mi piaccia finire una traduzione, l’inizio è il momento che mi stimola di più.”
Impossibile non annuire marcatamente anche di fronte ai passaggi relativi alla revisione:
“Non so giudicare la qualità delle mie traduzioni perché non riesco a prenderle in considerazione in modo imparziale. Ne sono profondamente coinvolta.”
È per questo che bisognerebbe sempre avere il tempo di far decantare una traduzione per poi rivederla con maggiore obiettività, ma si sa, spesso il tempo dei traduttori è tiranno. Per fortuna, però, o forse per necessità, come dice Aaliya,“La scrupolosità è una caratteristica comune fra i traduttori”.
La nostra protagonista non traduce per pubblicare, ma “per il piacere che comporta.” […] “Una volta terminato un progetto, […] seppellisco i fogli in una scatola e la scatola nel bagno. […] Creo e imballo!”
“Ho inventato un sistema per passare il tempo. Non è niente di più che un capriccio.”
Concludiamo questa incursione nel mondo di Aaliya con una nota dolce e non dolente, che vuole essere un auspicio per tutti gli addetti ai lavori:
“Credo che a volte, non sempre, quando traduco la mia testa sia come un lucernario. Senza alcuno sforzo da parte mia, la felicità mi pervade. Non accade spesso, ma quando sono in comunione con la traduzione, la mia padrona, riesco a essere felice.”
Buone traduzioni a voi che ci leggete!