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L’italiano della canzone

Tutto pronto per il consueto appuntamento annuale con la canzone italiana? Che siate amanti di Sanremo da quando era nazionalpopolare, o che lo seguiate da quando è diventato cool grazie ai social, ma anche se lo snobbate, abbiamo il libro perfetto per l’occasione: L’italiano della canzone, scritto da Luca Zuliani per Carocci editore.

Zuliani insegna Linguistica italiana all’Università di Padova e ha un particolare interesse per i rapporti tra metrica e musica nella poesia italiana. Proprio grazie a queste competenze e al piglio del filologo, in questo volume ci restituisce un’analisi della storia dell’italiano della canzone e della relazione tra musica leggera e lingua letteraria. Scopriamo così una panoramica di strategie, e stratagemmi, messi in campo dai librettisti prima, e da parolieri e cantautori poi, per accordare parole e note, fino ad arrivare alla neometrica moderna e alle sperimentazioni del rap.

Sì, ma la traduzione? Tra adattamenti d’autore, parole rubacchiate all’inglese e traduzioni di canzoni Disney, ci sarà da divertirsi.

VIENE PRIMA IL TESTO O LA MUSICA?

Dipende dal periodo storico che si prende in considerazione. Nel madrigale, medievale e rinascimentale, la musica è al servizio della parola che segue le forme della tradizione letteraria. Più tardi, con il melodramma, la lingua inizia ad andare incontro alla musica. Nelle arie compaiono rime tronche, versi brevi e ritmo regolare che imbrigliano l’italiano per facilitare il lavoro del musicista. Tuttavia, nel melodramma si parte ancora dal testo poetico e solo in un secondo momento si pensa alla melodia. Gli autori dei “drammi per musica” sono considerati veri e propri poeti, mentre ai compositori che li musicano si riconosce un ruolo subalterno.

Con Verdi la musica comincia a diventare sempre più rilevante. Anche se nella maggior parte dei casi si continua a partire dal testo, il compositore diventa l’artista principale e può scegliere l’autore delle parole, che viene ridimensionato da poeta a librettista.

Questa evoluzione trova il suo compimento nella seconda metà del Novecento, quando, anche grazie alla cultura di massa, la “musica leggera” rovescia l’ordine con cui sono scritte le canzoni: prima viene la melodia e poi arrivano le parole, anche quando sono opera della stessa persona. Chi scrive i testi prende il nome poco amato di “paroliere”. A questo termine si associa infatti una connotazione non sempre positiva, pensiamo al detto “non è un poeta: è solo un paroliere”. Anche se con le dovute eccezioni, questa espressione è la conseguenza del fatto che nella canzone moderna il testo ha perso la sua autonomia: senza musica, arrangiamento e interpretazione, “non funziona”.

LA CANZONE SI PUÒ CONSIDERARE POESIA?

Nell’immaginario collettivo le canzoni stanno sempre più prendendo il posto della poesia, Zuliani però porta molti esempi di come poesia e canzone non siano in realtà sovrapponibili. Anche se sono costruite in modo simile (strofe, ritornelli, quartine), la poesia si basa sulla metrica, contando le sillabe, mentre la canzone si basa sul ritmo, quindi sulle battute.

Anche se si sperimentano nuove forme di scrittura per rimettere al centro la parola, pensiamo per esempio alle rime sincopate di Caparezza, nella canzone è difficile applicare il concetto di “verso libero” perché nella musica leggera il verso è, di fatto, una frase musicale.

De Gregori in un’intervista di Bandettini va dritto al punto:

«Non mi piace quando dicono che sono poesie. La poesia è ben altro e se leggi La donna cannone senza pensare alla musica, è una boiata pazzesca, non sta in piedi».

SCRIVERE CANZONI IN ITALIANO “NON È UNA SFIDA: È PROPRIO UNA SFIGA”

Tra le tante testimonianze di parolieri e cantautori, le parole di Ligabue, citate qui sopra, ci sembrano le più efficaci a rendere l’idea della difficoltà di musicare la nostra lingua.

Ma perché è tanto difficile scrivere canzoni in italiano? Risposta breve: la fame di parole tronche.

L’italiano è una lingua molto armoniosa, ma la maggior parte delle parole ha l’accento sulla penultima sillaba, quindi la rima più naturale è quella fra parole piane. Nelle canzoni però, per esigenza di metrica, servono le rime tra tronche (accentate sull’ultima sillaba), che nella nostra lingua sono molto rare. Cristiano Godano, autore dei Marlene Kuntz, alla domanda «L’italiano è una lingua così balorda?» risponde: «Sì perché abbiamo pochissime parole tronche che non siano i soliti, ingombranti “mai, sai, già, qua, là, verrà, andrà, farà” eccetera. Sul “sai” in particolare ci sarebbe molto da divertirsi a contare quanti ne usano alcuni miei colleghi in ogni loro disco, in maniera decisamente spudorata.» Chissà chi aveva in mente. A proposito dell’abuso del “sai”, Zuliani fa l’esempio di almeno quattro canzoni dei Gazosa.

Per ovviare a questo problema, fino al secondo dopoguerra, si troncavano le parole piane (fior, splendor, ciel), oppure si ricorreva ad arcaismi (dì, piè, mercè). Quando questi rimedi iniziarono a essere percepiti come artificiosi, sorse l’esigenza di testi più vicini alla lingua parlata. Nel 1958, Modugno con Nel blu dipinto di blu inaugura l’era moderna della canzone italiana che continuò a evolversi negli anni Sessanta e Settanta, con la stagione dei cantautori classici. I troncamenti cedevano gradualmente il passo a uno stile grave, caratterizzato da versi lunghi e rime piane, con inversioni dell’ordine naturale delle parole («ora la guerra paura non fa» Vecchioni) e ritornelli senza testo, come in Vedrai, vedrai di Luigi Tenco. Tra le strategie adottate dai cantautori ci sono anche le fughe nel dialetto, più asciutto e comunicativo (per esempio, Crêuza de mä di De Andrè e La Ziatta di Guccini) e nelle lingue straniere. È in questo periodo infatti che si registrano le prime infiltrazioni di parole inglesi a fine verso («il tuo bacio è come un rock, che ti morde col tuo swing» Celentano).

Uno degli stratagemmi più innovativi introdotti negli anni successivi per ottenere le tronche consiste nello spostare gli accenti delle parole, in particolare sdrucciole e piane. Si va dai primi timidi tentativi di Dalla («stella di periferia» Anna e Marco) a Battiato («vecchia bretoné» Centro di gravità permanente) che ancora negli anni Novanta veniva criticato da Sandro Veronesi che gli rimproverava un «effetto finale alla Stanlio e Ollio». Negli anni Novanta sono gli 883 a ricorrere a ogni mezzo per “portare a casa il verso”: «i loro testi, nel periodo in cui apparvero, erano una specie di miniera di tutte le sciatterie possibili in italiano per avere una tronca, costi quel che costi». Un esempio tratto da Ma perché:« Se vedi una che/in meno di un mesé/esce con due diversi». In questo contesto inizia a vedersi un uso sfacciato anche delle “zeppe”, ossia parole inutili che servono a completare il verso: «che se ne frega di tutto, sì!» (Vasco Rossi è stato un precursore).

Con il tempo questi stratagemmi vengono rielaborati in modo più consapevole e raffinato da autori e autrici come Consoli, Turci, Gazzè, Silvestri fino ad arrivare agli anni Duemila in cui diventano caratteristica di modernità, per esempio in Depre dei Subsonica e in Sincerità di Arisa.

Gli sviluppi più recenti hanno così portato alla nascita di una neometrica, ossia a un insieme di sistemi che hanno determinato il superamento del verso basato su un numero fisso di sillabe, in cui conta soltanto il numero di accenti principali, che spesso non coincidono con quelli linguistici.

Nel frammentato panorama contemporaneo non si può non citare il rap e l’hip hop che sono gli ambiti di maggiore sperimentazione linguistica perché si rinuncia a una linea melodica in senso stretto, pur conformandosi a una base ritmica. Il rap diventa quindi il luogo del racconto, del discorso ampio e articolato e con un lavoro assiduo sulla forma.

Allo stesso tempo però si assiste a un recupero delle forme tradizionali in chiave moderna e ironica. Pensiamo ad esempio a Dente che, in Giudizio universale, ostenta ritmi e modi della canzonetta raggiungendo una semplicità solo apparente del testo. Da questo punto di vista, Paolo Conte ha fatto scuola, scrivendo canzoni in cui spesso il significante è più importante del significato e volutamente “all’antica”, pensiamo per esempio a Tropical.

CANZONI TRADOTTE

Se scrivere canzoni in italiano comporta tutte le difficoltà che abbiamo appena visto, figuriamoci tradurle! In passato avevamo già dedicato un articolo agli adattamenti d’autore di De Gregori e De Andrè. Questa volta ci concentriamo invece sulla traduzione delle canzoni dei film Disney. Nel libro si fa l’esempio della seconda strofa di I just Can’t Wait to Be King tratta dal film Il re leone (1994):

I’m gonna be the mane event, Sarò lo scoop del secolo,
like no king was before un nuovo re sarò,
I’m brushing up on looking down, E con un look fantastico
I’m working on my ROAR! più forte ruggirò!

L’italiano crea le tronche con i verbi al futuro, ma usa anche le sdrucciole che consentono cadenze più variate e meno consonanti e dittonghi. Se si considera solo il suono, il risultato della traduzione è migliore. D’altra parte però il ritmo risulta artificioso per la lingua italiana nella quale è raro che si usino versi così brevi perché è difficile scrivere qualcosa che non sappia di canzonetta, rischio che non corre invece l’originale inglese.

Veniamo ora al secondo esempio, il confronto tra la traduzione del 1991 (di Ermavilo e Gino Paoli) e quella del 2017 (di Lorena Brancucci, figlia di Ermavilo) delle canzoni tratte da La bella e la bestia. Le parole inglesi tra le due versioni sono rimaste pressoché invariate perché l’inglese per musica non è cambiato negli ultimi decenni. Le due versioni italiane invece sono molto diverse; vediamo un paio di esempi tratti da Stia con noi:

LUMIÈRE

1991 2017
Saltano i nervi Salteranno i nervi
anche al servo se non servi, anche al servo, se non servi,
Perché qui non c’è nessuno da servir Perché ora non c’è più nessuno qui…
Ah i bei vecchi tempi di una volta, Ah, bei vecchi tempi di una volta,
era tutto un grande scintillar![…] Giorni favolosi, quelli lì! [..]

 

MRS BRIC:

1991 2017
Lava là, Ecco qua,
che gran figura si farà! che gran figura si farà!
Abbiamo un po’ da far, Il tè vi servirò,
lo devi zuccherar! con latte e zùccheró
Ma sia con noi! Ma stia con noi!

Al netto delle tifoserie dettate dall’affezione (noi siamo team 1991), questo confronto ci mostra l’evoluzione dell’italiano per musica. Le versioni del 1991 sono molto più legate alla tradizione, usano forme antiquate e ricorrono ai terribili troncamenti a fine verso. Questo perché negli anni Novanta si cercava di restare fedeli al contenuto dell’originale, ma le tante sillabe delle parole italiane rendevano difficile rispettare il ritmo di una lingua come l’inglese, ricca di monosillabi.

Le versioni del 2017 si concedono maggiori adattamenti del testo originale e presentano le caratteristiche dell’italiano per musica moderno: avverbi monosillabici («qui») al posto dei troncamenti, oppure zeppe derivate dal linguaggio colloquiale («quelli lì») e le rime sdrucciola-tronca (servirò- zùccheró). Di fatto questo adattamento dimostra come il nuovo modo di scrivere canzoni in italiano si sia consolidato al punto da essere considerato accettabile anche in testi per bambini.

PERCHÉ SANREMO È SANREMO

E ora veniamo al Festival di Sanremo, il bacino di osservazione per eccellenza della musica pop. Di base si pensa che quelle sanremesi siano canzonette in senso lato, ossia brani in cui i testi sono subordinati alla melodia per favorire l’orecchiabilità. Va detto, però, che ormai da anni il palco di Sanremo ospita innovazioni e sperimentazioni. Canzoni come Occidentali’s Karma di Gabbani o Vietato morire di Ermal Meta mostrano la volontà di esprimere concetti ricercati e contenuti alti attraverso linee melodiche con poche tronche in rima, prediligendo versi lunghi, parole sdrucciole o piane.

Va poi ricordato che accanto alle canzoni più pop, il palco dell’Ariston ha poi ospitato anche qualche incursione della musica indie, come i Baustelle o i già citati Marlene Kuntz, che non hanno certo testi semplici, sia per costruzione, sia per contenuto.

In conclusione, speriamo di avervi incuriosito abbastanza da voler leggere L’italiano della canzone, un libro breve, ma molto curato in cui le canzoni sono analizzate senza giudizi di merito e con accostamenti anche audaci.

Per ringraziarvi di aver letto fin qui, abbiamo radunato i riferimenti musicali citati nell’articolo, più qualche bonus track, in questa playlist.