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L’unico scrittore buono è quello morto

Chissà se anche voi approfittate delle vacanze per dedicarvi finalmente a quella pila di libri che comprate e poi accantonate perché durante l’anno c’è sempre qualcosa di più urgente da leggere. Noi sì, per questo nelle ferie d’agosto ci siamo prese una pausa da questa rubrica per tuffarci in pagine che non parlassero di traduzione. Ma nessuno mette #traduzioneacolazione in un angolo, ed ecco che tra i “wanna be read” fa capolino un titolo perfetto per riprendere con leggerezza: L’unico scrittore buono è quello morto di Marco Rossari, Edizioni E/O.

Non certo un’ultima uscita, ma non per questo meno meritevole di nota. L’autore, infatti, di scrittori se ne intende, avendo tradotto, tra gli altri, Charles Dickens, Mark Twain, T.S. Eliot e Percival Everett. Vale sempre la pena di leggere le riflessioni sul mondo letterario di uno scrittore che è anche traduttore. Marco Rossari ha un punto di vista privilegiato sulla scrittura e la racconta senza sconti, ma anche con il sorriso.

Con ironia e irriverenza, l’autore inventa storie paradossali prendendosi gioco anche di grandi nomi. Ci troviamo così a seguire un processo a Shakespeare accusato di plagio, oppure a penare con Joyce di fronte all’ennesimo rifiuto di una casa editrice, o, ancora, a provare imbarazzo per Tolstoj intervistato in radio e costretto a controbattere al parere di Ilaria da Foggia. In un susseguirsi serrato di pagine surreali, ci ritroviamo in una rocambolesca fuga tra i bordelli di una metafisica Kafkania per finire poi a San Francisco a raccogliere l’eredità, o le ceneri, della Beat Generation. Qui incontriamo Baby Blue, Doppelgänger di Fernanda Pivano e ultima testimone di un’epoca lontana che non esercita alcun fascino sul protagonista… o forse sì. I racconti più lunghi sono intervallati da piccoli affreschi che potrebbero sembrare incipit di storie abbozzate. Alcuni sono aforismi ironici che suonano come invito a chi scrive a non prendersi troppo sul serio: “Da giovane aveva grandi aspettative e si preparava a partorire una grande opera. Poi gli offrirono un contrattino per un libro minore e accettò. Quindi un saggio pop, una marchetta simpatica e una miscellanea di battute. Rispose sempre di sì. «Faccio il ghost writer» ammise quarant’anni dopo in un’intervista. «Di me stesso»”. Ci sono poi i ritratti macchiettistici di vari tipi di scrittore: quello in preda all’editing, quello che prova a sparire, lo scrittore-critico, quello che s’incarta e il poeta. In ogni racconto si mescolano luci e ombre del mondo delle lettere e vizi e virtù delle persone che lo popolano.

Poteva mancare un racconto sulla traduzione? Ma certo che no!

SIC TRADUCIT GLORIA MONDI – Uno scrittore? È il titolo del racconto che ha come protagonista… indovinate un po’? Girolamo (e come ti sbagli). Girolamo è un traduttore editoriale che tutte le mattine va in biblioteca per sfuggire alla canicola estiva e all’alienazione del lavoro da casa. Accetta qualsiasi libro, dai classici ai moderni, dalla saggistica al giornalismo, passando per la poesia. Non disdegna affatto gli instant book, che rendono bene, vista l’urgenza. Il suo piano giornaliero è sempre lo stesso: “tradurre una media di venti pagine, mai meno di dieci e mai più di trenta.” In biblioteca trova spesso un collega, Caronte che, come Girolamo, accetta qualsiasi testo gli propongano le case editrici, ma è più cinico e pessimista : “siamo come i cefali. Gli spazzini del mare, hai presente? Ripuliamo i testi e li deponiamo in libreria, in attesa che finiscano al macero.”

Nel descrivere le giornate di Girolamo, Rossari racconta la traduzione senza il romanticismo che generalmente la ammanta e fa emergere la fatica del mestiere: “Attaccava come un mulo a trascinare parole da una lingua all’altra. […] Come uno sherpa si vedeva attraversare le vallate fiorite, i picchi innevati, i laghi cristallini del linguaggio, sempre in cerca di un tozzo di pane, senza mai una vera gratificazione. Neorealismo andino, in pratica.” La cultura approssimativa, il sapere transitorio legato alle ricerche svolte per la traduzione di un libro e accantonate per passare a un altro. L’incertezza e la precarietà di un lavoro a chiamata: “Spesso, dopo una traduzione, si profilava un vuoto, lo spettro della disoccupazione, la paura di non avere più niente da fare e di essere costretti a battere altre strade.”. Un po’ quel vuoto Girolamo lo desidera per trovare la spinta a buttarsi nella scrittura. Già perché non penserete mica che il nostro protagonista non abbia il suo bel libro nel cassetto, vero? Poi però, in extremis, arriva una mail o una telefonata e tutto ricomincia da capo. Ogni giorno a far da filtro alle parole altrui e a “tradurre in eterno libri più brutti del suo”.

Una bella botta di pessimismo. Ma non temete, a leggere bene tra le righe, si trovano anche spiragli di bellezza: “Girolamo era il lettore per antonomasia, quello per così dire privilegiato, che si piazzava alle spalle dello scrittore per guardarlo creare, resistendo alla tentazione di strozzarlo. L’uomo che scrutava il processo creativo, per dirla con uno dei titoli in voga. Di più, colui che si inabissava nelle parole dell’autore.”

A proposito di lettura, siete ricci o volpi?

Nel racconto Leggere come un riccio, Rossari suddivide lettrici e lettori in volpi e ricci, ogni categoria ha caratteristiche ben precise: “le volpi sfrucugliano nei mercatini, sulle bancarelle, nei remainder, leggono diari ed epistolari, tengono i libri in ordine alfabetico, sono completisti, bibliomani, bibliofili, feticisti, folli, isterici, onnivori. […] I ricci tengono i libri a casaccio sugli scaffali, spesso li mollano a metà, quando si innamorano di un libro ne parlano fino alla nausea, ma non leggono altre opere di quell’autore, possono leggere Proust nei Meridiani così come un tascabile pulcioso, non hanno il complesso di aver perso qualcosa di importante, seguono una strada tutta loro, sono ignoranti.”

Per chi scrive la volpe è una certezza, ma l’apprezzamento di un riccio è la vera conquista. Se leggendo la descrizione qui sopra vi riconoscete tratti di entrambe le categorie, sappiate che non sono così rigide. Si possono incontrare infatti anche la volpe-riccio, che però è “un orrendo ibrido tra Enrico Ghezzi e Umberto Eco”, e il né riccio-né volpe, che è un aspirante scrittore. In entrambi i casi Rossari consiglia di darsi alla fuga.

 

Che siate volpi o ricci, vi consigliamo di divorare questo libro.

 

Buona lettura!