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Un caffè con l’ater ego: esplorare l’identità nella traduzione

Sabato 4 novembre, al Circolo dei Lettori di Torino, nell’ambito del festival Radici, si è tenuto l’incontro “Un caffè con l’alter ego” in cui Giuseppe Culicchia e Ilide Carmignani hanno esplorato il tema dell’identità nella traduzione.

Potevamo farci sfuggire l’occasione? Certo che no.

Siccome l’incontro si è rivelato ricco di riflessioni che possono interessare a chi segue abitualmente la nostra rubrica, abbiamo deciso di parlarvene in questo post. Quindi oggi non vi proponiamo un libro da leggere, ma un condensato delle parole di Ilide Carmignani su cosa significa tradurre la letteratura.

Parleremo di:

  • Invisibilità
  • Presenza
  • Responsabilità
  • Revisione
  • Ritraduzione
  • Nuove sensibilità

 

TRADURRE SIGNIFICA STARE NEGLI SPAZI TRA LE RIGHE

 

Ilide Carmignani definisce il processo traduttivo come oblativo perché è necessario accantonare la propria identità per riuscire a intonarsi a quella di un’altra persona e a darle voce. Solo rimanendo nello spazio bianco tra le righe è possibile farsi interpreti delle parole altrui e farle suonare, proprio come un musicista, non soltanto in un’altra lingua, ma anche in un’altra cultura. Tradurre significa quindi farsi invisibili e diventare sosia, o alter ego dell’autore. Questo implica una fedeltà alle intenzioni e allo stile del testo di partenza, senza censure e senza tradimenti verso l’alto e verso il basso. Talvolta, lo studio approfondito di una voce, arrivando nei casi più fortunati a conoscerne anche l’idioletto, porta quasi a prevedere le parole dell’altro. Per esempio, Carmignani ha raccontato di aver tradotto in un testo di Sepulveda un’esclamazione con “porca miseria!” e di aver poi ritrovato tempo dopo in un altro libro quella stessa espressione messa in bocca dall’autore cileno a un personaggio italiano.

 

INVISIBILITÀ NON È MANCANZA DI PRESENZA

 

Non bisogna confondere però questa invisibilità con la mancanza di presenza. Presenza significa, per esempio, leggere tutte le opere di un autore prima di tradurne una. Ascoltare a lungo quella voce e chiedersi come si esprimerebbe in italiano. Entrare nella carne del testo, bozza dopo bozza, per affinare la sintonia con la penna che lo ha scritto. Questo lavoro sommerso spesso non viene visto, né riconosciuto a dovere. Va detto, però, che qualche passo avanti in questo senso è stato fatto, dal nome in copertina al riconoscere alla traduzione la dignità di opera d’ingegno. Sarebbe bello che, oltre agli addetti ai lavori, anche il grande pubblico imparasse a riconoscere una traduzione di qualità e a pretenderla dalle case editrici.

 

TRADURRE È UN PRIVILEGIO, MA ANCHE UNA RESPONSABILITÀ

 

Tradurre è un privilegio, perché in fondo sei pagata per leggere e hai la fortuna di abitare mondi a volte accoglienti, a volte inquietanti, ma sempre straordinari, però è anche una responsabilità. Significa scegliere le parole con le quali far arrivare un’opera nella nostra lingua, ben sapendo che qualcosa andrà perso. La comunicazione di per sé è imperfetta, così come il linguaggio è limitato. Quando si lavora con due lingue e due culture diverse, bisogna fare i conti con i residui traduttivi o i silenzi della lingua che corrispondono ai punti in cui le due visioni del mondo divergono e non sono sovrapponibili. Ad esempio, adiòs in spagnolo non indica sempre un addio definitivo, ma può essere anche un semplice “arrivederci”. Traducendo in italiano, però, non è possibile mantenere la stessa ambiguità e sarà necessario operare una scelta che darà un’interpretazione molto netta al testo. Per fortuna un testo letterario trova sempre la strada per raggiungere il suo pubblico, nonostante qualche piccolo lost in translation.

 

IL REVISORE: L’OMBRA DELL’OMBRA

 

La responsabilità di una buona traduzione dovrebbe essere condivisa. In una redazione che funziona non può mancare la revisione. Purtroppo, però, le revisioni stanno diventando occasionali e spesso sono affidate a persone con poca esperienza. Il revisore ha invece un ruolo essenziale, è un angelo custode, vede ciò che è sfuggito in traduzione, si accerta che le due culture dialoghino in modo adeguato e che il messaggio e lo stile del testo fonte non siano sminuiti. Questo controllo evita che una cattiva traduzione danneggi l’opera garantendole la giusta accoglienza presso il pubblico italiano. Se chi traduce è invisibile, chi rivede lavora ancora più nell’ombra. Qualcosa, però, per fortuna sta cambiando anche su questo fronte. Di recente, alcune case editrici hanno iniziato a citare anche il nome del revisore, o della revisora che ha lavorato al libro.

La cura nel lavoro non dovrebbe però essere riservata soltanto ai grandi romanzi, ma a qualunque prodotto culturale. Traduzioni sciatte, infarcite di calchi e di doppiaggese non rendono un buon servizio neanche all’italiano. Va detto poi che, talvolta, anche nel testo fonte si sente la mancanza di un editing che non corregge incongruenze o salti spazio-temporali. In questi casi, una traduzione accurata può rilevare i problemi e, in accordo con l’autore, correggerli.

 

LA RITRADUZIONE: UN’OCCASIONE PER CORREGGERE E AGGIORNARE

 

Alcuni testi hanno dovuto attendere una ritraduzione per ricevere il riconoscimento che meritavano nel nostro Paese, pensiamo ad esempio a Simenon ritradotto da Adelphi. In altri casi, invece, la ritraduzione ha riportato al pubblico italiano una versione più fedele all’originale. Ad esempio, la prima traduzione di Cent’anni di solitudine per mano di Enrico Cicogna, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo, contribuì di certo al grande successo del libro nel nostro Paese, ma era figlia dello sguardo eurocentrico con cui all’epoca si guardava al Sud America. Cicogna aveva reso il realismo magico di Marquez molto più magico e molto meno realistico. La sua traduzione è zeppa di parole spagnole italianizzate e presenta spesso un registro alto a fronte di un linguaggio invece più piano e comune dell’originale, il tutto per conferire al testo un sapore più esotico che si pensava potesse piacere al pubblico dell’epoca. Per questo oggi la ritraduzione di Carmignani suona così diversa a chi ha letto Marquez attraverso le parole di Cicogna.

Ci sono poi casi in cui le traduzioni invecchiano molto in fretta. Pensiamo, ad esempio, a testi che adottano il gergo giovanile, come Il giovane Holden. Non esistono dizionari per il linguaggio giovanile perché cambia molto rapidamente e nasce proprio per escludere la generazione precedente. Non resta quindi che aggiornare le traduzioni per farle stare al passo con i tempi. Traducendo verso l’italiano bisogna anche fare molta attenzione ai regionalismi che assume questo tipo di linguaggio. Se faccio dire a un ragazzino cileno “figo!” lo farò parlare come un milanese, se opto per “fico!” come un romano, attribuendo a quel personaggio caratteristiche che non gli appartengono.

 

TRADURRE SIGNIFICA STARE A CONTATTO CON SENSIBILITÀ DIVERSE

 

Chi traduce sta sul confine di due culture e spesso viene a contatto con sensibilità diverse. Per riuscire a tradurre queste diverse sensibilità è necessario stare in ascolto con attenzione perché ciò di cui non ti accorgi, non lo puoi passare. Carmignani ha ricordato che, quando ha tradotto 2666 di Roberto Bolaño, si è posta la questione di come tradurre feminicidio. All’epoca in Italia non c’era la stessa attenzione per il tema che invece si aveva in Spagna e non esisteva ancora una parola per descriverlo. Eppure era chiaro dal testo che si trattasse di un tipo molto particolare di omicidio, così Carmignani ha optato per introdurre una nuova parola: “femminicidio”. Con il senno di poi, ha avuto ragione, concedendo alla traduzione di vivere più a lungo.

Tradurre significa anche entrare a contatto con identità diverse e con le loro rivendicazioni. Oggi, ad esempio, occorre rispettare le scelte autoriali di adottare un linguaggio non escludente, quindi, se in originale vengono usate forme neutre come todes o niñxs, oppure vengono censurate parole razziste, andranno adottate soluzioni equivalenti anche in italiano.

Bisogna poi cercare di non avere un atteggiamento troppo addomesticante. Questo significa preservare gli elementi culturospecifici eventualmente anche introducendo prestiti, se costituiscono un arricchimento per la nostra lingua, preferendo per esempio perlilla a sinforicarpo.

 

Come avrete capito, se ci avete letto fino a qui, l’incontro è stato ricco di spunti (abbiamo scaricato la penna a furia di prendere appunti), ma ciò che ci ha più colpito è stato il pubblico: una platea di lettrici e lettori, forti certo, ma non del mestiere. È stato bello vedere gli sguardi concentrati, sentire le domande curiose e partecipare agli applausi spontanei. Non capita spesso che la traduzione esca dal suo “recinto”, e un’accoglienza così calorosa non è scontata. Certo, la traduzione è affascinante, ma ci vuole anche la classe di Carmignani per saperla raccontare.