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Una poesia, dieci traduzioni

Sono piccoli gioielli, questi DieciXUno di Mucchi Editore: una poesia, dieci traduzioni. Se, come recita la quarta di copertina, andate a caccia di versi, collezionate varianti, ereditate il senso e leggete con curiosità, questa è la collana che fa per voi.

Per una volta, parliamo di traduzione dallo spagnolo: il DieciXUno che abbiamo scelto per questo appuntamento con la rubrica #traduzioneacolazione è Lamento per Ignacio S. Mejías di Federico García Lorca, poeta e drammaturgo andaluso appartenente alla cosiddetta Generazione del ‘27, nato a Fonte Vaqueros nel 1898 e morto a Granada nel 1936 per mano dei franchisti, che lo fucilarono pochi giorni dopo l’inizio della Guerra Civile.

Partiamo dal titolo del componimento, in originale Llanto por Ignacio Sánchez Mejías, e scopriamo innanzitutto chi è la persona citata e qual è il motivo del lamento di Lorca: Ignacio Sánchez Mejías è stato un torero e intellettuale spagnolo, nato a Siviglia nel 1891 e morto a soli 43 anni durante una corrida. Grande sostenitore della Generazione del ‘27, che sovvenzionò personalmente essendo lui un mecenate generoso, era amico intimo non solo di Lorca ma anche di tutti gli altri esponenti del gruppo letterario. La sua morte prematura colpì il poeta andaluso a tal punto da spingerlo a dedicargli un’elegia.

Francesco Fava, docente di letteratura spagnola all’università IULM di Milano e curatore del libricino che vi stiamo presentando, ci spiega che Llanto por Ignacio Sánchez Mejías “costituisce […] un tassello estremamente significativo per la storia della traduzione e della ricezione delle letterature straniere nel nostro paese nel corso del XX secolo”, e aggiunge che “nel breve volgere di poco più di una ventina d’anni, tra il 1938 e il 1961, a cimentarsi in una traduzione italiana del testo sono, oltre a Bo e allo stesso Macrì, scrittori capitali del nostro Novecento quali Elio Vittorini, Giorgio Caproni e Leonardo Sciascia.” E a proposito della traduzione di Bo, che poi sarebbe proprio il Carlo Bo a cui è dedicata l’omonima Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Milano, scopriamo che la sua traduzione fu letta e registrata su disco prima da Arnoldo Foà nel 1955 e poi da Carmelo Bene nel 1965. La lettura di Foà “conobbe peraltro un inaudito successo di pubblico, superando il milione di esemplari venduti e rendendo il Llanto un fenomeno unico nella storia della cultura italiana: i suoi versi si incisero nell’immaginario nazionale arrivando a essere citati quasi proverbialmente, ripetuti, declamati, persino parodiati. Valga per tutti il reiterato A las cinco de la tarde che percorre come un basso continuo la prima sezione del poemetto […]”.

Ed è proprio dal primo verso che parte l’analisi di Fava, la cui traduzione, tra l’altro, è una delle dieci proposte. Giustamente lui fa notare che A las cinco de la tarde è sempre stato reso con “Alle cinque della sera” nonostante tarde non indichi la sera e alle 17 ci sia ancora una discreta luce. Cambiare equivarrebbe a modificare un’espressione che, come abbiamo detto poco sopra, è entrata nell’immaginario collettivo. Riflettiamo poi su un aspetto interessante: tradurre tarde con il suo equivalente più corretto, ovvero “pomeriggio”, sconvolgerebbe non solo la metrica, che come sappiamo in poesia è un elemento decisamente vincolante, ma anche la musicalità dell’opera, in cui “la sonorità è componente espressiva essenziale”. Ecco perché Fava stesso ha dovuto, suo malgrado, “sincronizzare le proprie lancette su tutti gli orologi delle precedenti traduzioni.” Bella come immagine, vero?

Quella che segue è una rapida carrellata di tutte le traduzioni citate nel volume, comprese due non italiane, in cui vi indichiamo la data di pubblicazione e vi riassumiamo, a grandi linee, le impressioni di Fava, sperando di incuriosirvi abbastanza da spingervi ad approfondire la lettura:

– Carlo Bo (1938)

Versione che presenta limiti, ma che ha avuto il merito di far conoscere Lorca poco dopo la sua morte, “quasi in presa diretta”.

– Elio Vittorini (1942)

Come era solito fare, in alcuni punti Vittorini non ha resistito alla tentazione di riscrivere il testo, come potete leggere qui sotto:

 Tardará mucho tiempo en nacer, si es que nace,

un andaluz tan claro, tan rico de aventura.

Yo canto su elegancia con palabras que gimen

y recuerdo una brisa triste por los olivos.

 

Ora per sempre è morto

e io l’eleganza ne canto

gemito di parole, a me memoria

di vento rattristato negli ulivi

Fava segnala anche la presenza di “scivoloni” traduttivi come Duerme, vuela, reposa, che lo scrittore ha reso con Dormi in veglia: riposa, ma va detto che gli riconosce anche una grande coerenza stilistica. Di Elio Vittorini traduttore abbiamo parlato in un articolo del blog, potete recuperarlo qui.

–    Giorgio Caproni (1958)

“Unica versione italiana a opera di un poeta, e si sente. Il dominio sapiente del metro, la tessitura di un’armoniosa trama fonica arricchita dalla creazione di riuscite allitterazioni, la riformulazione mai gratuita di alcune immagini rendono la versione caproniana un piccolo gioiello”.

– Leonardo Sciascia (1961)

Quella di Sciascia è una versione che prende il via da un rimbrotto che lui stesso muoveva alle traduzioni precedenti, colpevoli di non restituire il realismo dell’opera originale. Fava sostiene che l’intento di recuperare tale realismo non sia stato rispettato pienamente, e considera che “lo scrittore di Racalmuto, maestro di prosa raffinatissima, si mostra non altrettanto a suo agio nel verso, prescindendo non solo dal metro, ma talora anche dal ritmo”.

– Jorge de Sena (1978)

Ecco il primo intruso, un poeta, scrittore e drammaturgo portoghese. Segno particolare della sua versione: la musicalità, che a tratti sembra “addolcire” il carico tragico del componimento.

–  André Belamich (1981)

Nella traduzione di Belamich, Fava riscontra la tendenza all’esplicitazione. Il risultato complessivo “vede dissiparsi parte della necessaria e lancinante oscurità del Llanto spagnolo”.

– Lorenzo Blini (1994)

Nella propria versione, Blini dimostra un rigore estremo nel riportare la polimetria del poemetto e una grande precisione “nell’equivalenza referenziale, corroborata anche dall’uso sapientemente esplicativo delle note a piè di pagina”.

– Giovanni Caravaggi (2010)

Anche a Caravaggi viene riconosciuta la stessa adesione di Blini alla polimetria originale, e la sua traduzione viene definita “elegante”. Curioso il fatto che, pur trattandosi di una delle traduzioni più recenti, la scelta lessicale sia ricaduta su termini aulici (scalea, sulfuri, sitibonda, riviere). Il risultato è che “il registro linguistico è, nel complesso, indubbiamente più elevato rispetto all’originale”.

– Francesco Fava (2020)

Quale strategia ha adottato Fava per dare vita alla decima traduzione? Bè, se vi dicessimo proprio tutto, che gusto ci sarebbe?

Però aspettate, rimanete ancora un attimo: visto che cerchiamo sempre di trovare collegamenti tra un articolo e l’altro della rubrica per rendere l’esperienza di lettura ancora più stimolante, vi lasciamo con questa bellissima versione live di Take this waltz, brano che Leonard Cohen ha scritto ispirandosi a un’altra poesia di Lorca, Pequeño vals vienés. Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare dalle note e dal meraviglioso timbro del cantautore canadese. E se non avete letto l’articolo dedicato a De André traduttore, in cui inevitabilmente si parla anche di Cohen, lo trovate qui.